Giovanni Sallusti per Dagospia
* autore del libro ''Politicamente Corretto - la dittatura democratica'' - Giubilei Regnani editore
Caro Dago,
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fioccano lenzuolate in serie sulle elezioni americane, ma per capire il loro racconto politically correct spacciato per giornalismo basta e avanza il vecchio Orwell. Precisamente, basta rovesciare un suo famoso teorema: ci sono latinos meno latinos degli altri, ci sono neri meno neri degli altri, ci sono donne meno donne delle altre. Ovviamente, sono coloro che, contro le consegne paternalistiche degli editorialisti (tendenzialmente bianchi della East Coast), hanno votato Donald Trump.
ERICA JONG
Repubblica ha seriamente titolato un pezzo di Gabriele Romagnoli “Il tradimento dei latinos -tradimento rispetto ai desiderata delle riunioni di redazione in Largo Fochetti, immagino- Ora ballano con Trump”. Profonda spiegazione sociologica dello smottamento del voto ispanico: “Il presidente incarna il loro líder ideale: è un macho”. Che, peraltro, “ha fatto i soldi”. Vale a dire: secondo gli antirazzisti di professione, i latini che si sono schierati con Trump sono dei minus habens raggirati dal portafoglio gonfio e dai modi da duro.
Fa meglio nella gara della prevedibilità buonista La Stampa di oggi, che schiera l’analisi di Gianni Riotta e l’intervista alla scrittrice Erica Jong. Il primo sviluppa il canovaccio del giornale gemello (nel gruppo Gedi ormai gli articoli e le idee sono interscambiabili), già dal titolo: “Lusso e machismo, il marchio di Trump che affascina i neri” (sì, proprio così, “marchio”, come se si trattasse di schiavi nelle piantagioni di cotone, e non di liberi cittadini pensanti e votanti).
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In particolare, annota meditabondo Riotta, “Trump brilla tra i giovani neri”, grazie a “l’immagine da ricco magnate, le limousine, le Miss dei festival, gli abiti sgargianti” che “risuonano popolari con il culto della ricchezza, del lusso che molti cantanti rap promuovono, icone classiche dei loro video”. Gli afroamericani che scelgono Donald, insomma, sono tutti sfaccendati in fregola da rapper col mito dei soldi facili. Mentre gli afroamericani che votano il Partito Democratico, ovviamente, sono tutti fini conoscitori dell’opera di Thomas Jefferson ed esperti nella dottrina della separazione dei poteri.
Ma in vetta si colloca decisamente Erica Jong, che a Paolo Mastrolilli confida tutto il proprio sbigottimento per l’assenza di una valanga del “voto femminile” contro il presidente. E perché non è accaduto? “Ignoranza. Non capisco perché una donna possa votarlo, visto che il suo odio contro di noi è così ovvio”. È ovvio, gli assiomi dell’intellighenzia correttista non si dimostrano, si enunciano, e chi non li introietta è un paria in odor di suprematismo.
GIANNI RIOTTA TAPIRO VALERIO STAFFELLI
Eppure il consenso di Trump presso le donne bianche è addiritura cresciuto, butta là l’intervistatore con la finta ritrosia di chi accende una miccia. “Mio Dio! Io voto come le donne nere, perché loro sono più attente e interessate”, è la fine lettura della scrittrice, il razzismo capovolto sulle inferiori donne repubblicane dal viso pallido. Eh, ma “anche il vantaggio dei democratici tra le donne nere è sceso”, incalza un Mastrolilli ormai palesemente divertito. “Perché viviamo ancora in una società sessista, e alcune donne sono sessiste contro i loro stessi interessi. È tragico”. No, è comico, è un perenne sofisma ubriaco, è il Politicamente Corretto, bellezza.