VI DICO CHE “BRIGANTI”, LA NUOVA SERIE ITALIANA DI NETFLIX, È TERRIBILE. UNA DELLE SERIE PIÙ FINTE CHE ABBIA MAI VISTO. TUTTA MUSICA E FOTOGRAFIA D’EFFETTO PER ACCHIAPPARE UN PO’ DI PUBBLICO. ABITI DA SPAGHETTI WESTERN ALLA DJANGO, EROI E EROINE CHE SPARANO, SCAPPANO, SI TRADISCONO. BOH! MI PIACCIONO I FILM DI BRIGANTI, MA SONO QUASI SEMPRE UNA DELUSIONE
PINO APRILE
Riceviamo e pubblichiamo:
Caro Roberto,
quello che scrive Marco Giusti sulla serie “Briganti”, in onda su Netflix, potrebbe anche essere condiviso se ci si ferma al prodotto in sé: gli abiti da “spaghetti western”? A parte che il periodo era lo stesso (la guerra di Secessione americana si combatté negli stessi mesi e anni di quella per la conquista e l'annessione del Regno delle Due Sicilie, da parte dell'esercito sabaudo.
Da noi, però, la cosa andò poi avanti per una decina di anni); ma l'osservazione ci sta, anzi, a volerla stressare, si può giungere a vedere certi richiami al cinema indiano (dell'India), vedi vestito, trucco e cerimonia del “matrimonio” con il capo-brigante ucciso dalla sposa.
marco giusti
Si potrebbe continuare con richiami e analogie, da Hollywood a Bollywood. Ma si rischia così di perdere quello che a me pare il valore che tutti gli altri sovrasta, di questa serie. Giusti dice che i film sui briganti gli piacciono, ma quasi sempre lo deludono. Immagino sia perché le vicende rappresentate si rifanno all'ambientazione, ma poco alla fedeltà ai fatti storici.
Ma è quello che accade quasi sempre: “Bastardi senza gloria” non ha nulla a che vedere con quel che accadde davvero contro i gerarchi nazisti , ma vive in quella ambientazione e perderebbe quasi tutto senza quella.
E, per restare al periodo risorgimentale, ci sarebbe tantissimo da obiettare su come viene raccontata nei film l'avventura dei Mille e la figura di Garibaldi: un santino, nessun cenno ai ventimila soldati piemontesi finti disertori, alla legione straniera inglese, alla corruzione dei generali borbonici per far “vincere” Garibaldi (“Sfondatore di porte aperte”, fu definito), alle trame massoniche, alla flotta militare britannica che accompagnava l'impresa.
briganti
Una delle spese maggiori della spedizione fu quella dell'ufficio stampa, a cominciare dall'insaziabile Alessandro Dumas; e i risultati si vedono ancora oggi. Quella che chiamiamo storia somiglia troppo a quanto, secondo Alessandro Barbero, deve essere il compito di chi la scrive: scegliere personaggi ed episodi da mitizzare, per formare cittadini. Quindi…
E se solo si pensa che la quantità di documenti imbarazzanti fatti distruggere, a decine di migliaia (come dimostrato dal professor Umberto Levra, docente di storia risorgimentale e dal colonnello Cesare Cesari, a capo degli Archivi militari), è tale da rendere forse impossibile ricostruire quegli eventi, si capisce cosa significa una serie cinematografica che rappresenta quella repressione del Sud dal lato meridionale. Pietro Fumel era massacratore seriale (“Fucilati 300, briganti e non briganti”) e fu rimosso per le proteste internazionali contro tanta ferocia. Era colonnello, nella fiction lo hanno promosso generale.
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Poi la vicenda filmica è quella che è, ma il capovolgimento di rappresentazione dei “buoni” e dei “cattivi” fa di “Briganti”, rispetto alla narrazione storica ufficiale, l'equivalente di “Soldato blu”, circa la fiaba degli eroici visi pallidi costretti a difendersi, con i cannoni, dalle terribili frecce dei selvaggi musi rossi.
Che una produzione internazionale scelga quel periodo (il Brigantaggio) e quel punto di vista (la resistenza armata del Sud) per rappresentare una epopea che poteva essere resa dal western a Robin Hood, è un segnale culturale enorme: indica che la percezione maggioritaria, ormai, è quella. Il tempo è più onesto dei libri di storia.
Pino Aprile
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