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    “A VERMICINO SBAGLIAMMO TUTTI, SOPRATTUTTO L'ALLORA PRESIDENTE PERTINI” – PIROSO: "40 ANNI FA CON LA TRAGEDIA DI ALFREDINO L’ALLORA CAPO DELLO STATO, CON IL SUO PROTAGONISMO EGOTICO INAUGURÒ LA TV DEL DOLORE. CONVINTO ERRONEAMENTE DEL BUON ESITO DEI SOCCORSI, CERCÒ UNO SPOT CHE INTRALCIÒ LE OPERAZIONI. FU UN AUTENTICO “POPULISTA” ANTE LITTERAM" – VELTRONI: "PERTINI FORSE NON FECE LA COSA GIUSTA”


     
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    Antonello Piroso per “La Verità”

     

    pertini tragedia vermicino pertini tragedia vermicino

    Con il senno di poi - per dirla con il Luigi Di Maio di oggi, ex giustizialista pentito - a Vermicino sbagliammo tutti. Sì, anche noi, che rimanemmo ipnotizzati davanti al piccolo schermo per la prima non-stop della storia, in un gioco di specchi: la tv fissava un buco nel terreno, noi, complici, fissavamo la tv in attesa di un impossibile happy end.

     

    Vermicino. Frazione tra Roma e Frascati. Molto più che un' espressione geografica. Non uno spazio fisico, ma un non-luogo dell' anima, schiantata da un atroce evento di cronaca, avvenuto 40 anni fa, il 10 giugno 1981, protagonista involontario Alfredo Rampi, per tutti -sempre e per sempre - Alfredino, precipitato in un pozzo e incastrato a 40 metri (oppure entrato per gioco?

     

    O magari spinto? La dinamica non è mai stata appurata, eppure quel posto era una specie di cantiere, possibile che nessuno abbia visto niente?

     

    Alla fine l' unico processato per omicidio colposo fu Elio Ubertini, autore dei lavori di sbancamento, assolto con formula piena). Errammo tutti, ma soprattutto lo Stato, e in primis colui che, a norma di Costituzione, ne è il capo, il Presidente della Repubblica che rappresenta l' unità nazionale. Ovvero colui che - ci assicurano - è ancora il più amato dagli italiani: Sandro Pertini, il «partigiano presidente» secondo la stucchevole etichetta appioppatagli dopo l' elezione del 9 luglio 1978 al posto di Aldo Moro, assassinato dalle Brigate Rosse giusto due mesi prima, il 9 maggio.

     

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    La riprova? Sulla prima pagina del Corriere della Sera del 13 giugno 1981, titolo «Per Alfredo ha battuto angosciato il cuore di 50 milioni di italiani», a firma di Cesare De Simone e Gian Antonio Stella, la foto a corredo non è quella iconica del bambino di 6 anni, sorridente nella sua canottierina in riva al mare. Ma quella di Pertini, in piedi sull' orlo dell' abisso in cui è sprofondato Alfredo, con in testa le cuffie per sentire e farsi sentire, intorno un irrazionale assembramento: gli uomini della scorta, vigili del fuoco, poliziotti, carabinieri, soccorritori, curiosi e, naturalmente, giornalisti.

     

    Un mucchio selvaggio, un caos tutt' altro che calmo in cui Pertini portò ulteriore scompiglio. Nessuno fu evidentemente in grado di fargli intendere che il suo protagonismo egotico non avrebbe giovato alla causa, ma tant' è: abile nel cavalcare l' umore dell' opinione pubblica, un autentico «populista» ante litteram, una volta realizzato che l' evento stava calamitando l' attenzione spasmodica degli italiani, raggiunse Vermicino centrando l' obiettivo di diventare lui, con ciò stesso, la notizia.

     

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    Riavvolgiamo brevemente il nastro. Alfredo, ricostruiranno i magistrati, viene inghiottito dalla terra non oltre le ore 20 di mercoledì 10 giugno. Ma sarà individuato solo a mezzanotte.

    Alle 2 di giovedì, l' Ansa diffonde una nota: «Un bambino di 6 anni, Alfredo Rampi, è precipitato in un pozzo artesiano, rimanendo ferito dopo un volo di 20 metri».

     

    Commenterà con il Tg2 la madre Franca Rampi, finita nel tritacarne mediatico perché sorpresa - dopo tre notti e due giorni sotto il sole cocente - a mangiare un ghiacciolo (!), segno evidente della sua pretesa insensibilità e, forse, complicità nella morte del figlio: «Non ha funzionato niente. Quelli del 113 sono venuti a cercare Alfredo di sera e non avevano le lampade. Le unità cinofile arrivate da Roma non erano adatte. I cani giusti stavano a Nettuno, che è vicino Roma. Ho detto: andiamo a prenderli. È venuto fuori che ci voleva l' autorizzazione di un tale che non si riusciva a rintracciare perchè era notte» (uno dei tanti disservizi, spiegherà Elveno Pastorelli, comandante dei vigili del fuoco di Roma che diventerà il primo comandante operativo della costituenda Protezione Civile: «Nella notte tra mercoledì e giovedì ho fatto 100 telefonate per trovare una sonda, ma nessuno mi rispondeva»).

     

    sandro pertini tragedia alfredino rampi sandro pertini tragedia alfredino rampi

    Ma chi lancerà il primo appello, «si cerca una gru per tirare fuori un bambino caduto in un pozzo»? La Rai? Macché: una tv locale, «forse Teleroma56», ricorderà l' inviato del Tg2 Pierluigi Pini, che rientrato a casa all' una di notte accende la tv, vede scorrere quella scritta e con il fiuto del grande cronista chiama il suo operatore: «Prendi la cinepresa (le telecamere a spalla erano ancora un oggetto semimisterioso) e raggiungimi a Vermicino».

     

    Il resto è storia. Un blackout giovedì 11 colpirà dalle 10.30 alle 17.30 le reti radiofoniche (le onde radio dell' antenna di Santa Palomba interferivano con il microfono calato nel pozzo, così la Rai, le radio locali e perfino i radioamatori decisero di interrompere ogni comunicazione: ma siccome il 20 maggio era emerso il bubbone della P2 di Licio Gelli, e il 13 maggio papa Giovanni Paolo II era stato ferito a pistolettate in piazza San Pietro da Alì Agca, correvano voci incontrollate su «forze eversive» pronte ad agire, con i cittadini che chiamavano le redazioni di tv e giornali: «Ma è in corso un golpe?»).

     

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    Le trivelle rimediate e le geosonde per cui furono allertate Iri e Eni. Le decisioni controproducenti (innaffiarono le pareti del pozzo rendendole così sdrucciolevoli che il povero bimbo slittò ancora più giù, a 60 metri). La buca scavata parallelamente per salvare Alfredino non da sopra ma da sotto.

     

    Gli «angeli» pronti a calarsi in quel buco nero (l' ultimo, disperato tentativo fu quello di uno gnomo sardo Angelo Licheri, 48 minuti a testa in giù nel cunicolo, sette tentativi di strappare il bimbo al suo destino, ma non c' è nulla da fare: gli scivola letteralmente via dalle dita).

    Il mitico pompiere Nando Broglio, l' unico con cui a un certo punto vorrà parlare Alfredino, e che rimarrà in contatto radio con lui ininterrottamente per oltre 24 ore, fino alla fine.

     

    ANTONELLO PIROSO ANTONELLO PIROSO

    Ma soprattutto la mostruosa diretta Rai - 18 ore con un' unica telecamera fissa, una specie di videocitofono, e il resoconto minuto per minuto di quello che lo stesso Alfredo, sempre più stremato, riusciva a dire, compreso uno straziante: «Mamma, ma quando arrivi? Non mi dire bugie, non ti credo più!» - che partirà con il Tg2 delle 13 di venerdì per terminare alle ore 7 del mattino dopo, quando dagli inferi in cui era finito Alfredo non giungerà più alcun segno di vita. Un rito collettivo, un voyeurismo di massa per il primo atto della tv del dolore, con i vertici del servizio pubblico incapaci di staccare la spina.

     

    piroso piroso

    Soprattutto perché alle 16.30 piomba Pertini provocando l' ambaradan di cui sopra, non senza tappare la bocca all' inviato Rai Maurizio Beretta, futuro direttore generale di Confindustria (in giacca di lino bianca, «un piccolo Grande Gatsby capitato per sbaglio in una scena del film Accattone di Pier Paolo Pasolini», annota Massimo Gamba nel suo documentato libro Alfredino-L' Italia nel pozzo), che gli ha messo il microfono sotto il naso: «Presidente, siamo in diretta per il Tg1». Risposta che più «paraventa» non si può: «A me non interessa la televisione, la televisione è esibizionismo».

     

    alfredino rampi alfredino rampi

    Una «visita a sorpresa», come la definirà dallo studio del Tg1 Piero Badaloni? Manco per niente, confesserà Emilio Fede, direttore pro tempore del Tg1 in quanto il suo predecessore Franco Colombo era stato travolto dallo scandalo P2: «Io avevo deciso di interrompere la diretta. Ma mi chiamò Antonio Maccanico, segretario generale del Quirinale, dicendomi che il capo dello Stato stava seguendo il fatto in tv e aveva deciso di andare sul posto, perché lo avevano avvertito che da un momento all' altro il bambino sarebbe stato tirato fuori. Quindi la non-stop non si poteva stoppare». Morale: Pertini va a Vermicino perché la tv ha dato all' evento una dimensione epocale e addirittura sovranazionale. E la tv rimane a Vermicino perché lì è arrivato Pertini, trattenendosi peraltro anche lui fino alle 7 di sabato.

     

    sandro pertini in val gardena sandro pertini in val gardena

    Insomma: dietro il gesto di Pertini non c' era solo il desiderio di esprimere la vicinanza di «tutto il popolo italiano» al piccolo Alfredo, in lotta con la morte, ma soprattutto un calcolo opportunistico, personale e istituzionale, dal momento che - dopo il disastro dei soccorsi per il terremoto in Irpinia con i suoi circa 3.000 morti nel novembre 1980, contro cui Pertini si era scagliato in diretta tv (alla faccia del «la tv è esibizionismo») - Vermicino può rappresentare la catarsi. Se i vigili del fuoco riusciranno a tirare fuori Alfredino vivo e in diretta, quale migliore spot per la credibilità della macchina dello Stato?

    tragedia alfredino rampi tragedia alfredino rampi

     

    Purtroppo non ci fu alcun lieto fine. Alfredo non riemerse vivo da quella fossa, il suo corpo fu recuperato un mese dopo. La comparsata di Pertini si rivelò inutile a tutti gli effetti. Come ha rilevato perfino Walter Veltroni, che sulla vicenda ha scritto il libro L' inizio del buio: «Nessuno voleva mancare la scena che salderà il dolore con la felicità, giunse anche Pertini. Ma forse stavolta non fece la cosa giusta». Non ci riuscì nessuno, in verità.

     

    Come concluse amaramente Leonardo Sciascia, suggellando il senso di angosciosa e fallace impotenza globale: «Siamo stati capaci di andare sulla luna, ma non di salvare un bambino in fondo a un pozzo».

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