Gianni Santucci per il “Corriere della Sera - Edizione Milano”
BABY GANG A MILANO
Le pistole. «Ci prendiamo Milano». Le mitragliette. «Fanculo la tua gang». I coltelli (a scatto, a serramanico, da combattimento). «Affamati come i lupi». Un tirapugni d' acciaio («indossato» in primo piano su una foto scattata in metrò). Didascalia: «Pugni in faccia». L' immagine di un braccio che punta un' arma su piazza Duomo, con l' annuncio: «La Zona in trasferta».
Si moltiplica ogni giorno su Instagram un' ansia ostentata di esibizionismo violento. La spavalderia dell' arma è attraente. E pur se le armi sono sempre finte, diventano il feticcio comune da mostrare per costruire un profilo di minaccia. Identità intimidatorie.
BABY GANG A MILANO
E poi banconote, ciuffi di marijuana, canne già rollate. Eccolo l' immaginario comune di gruppi di ragazzi di periferia che sempre più si auto-rappresentano come gang. La prima nacque un paio d' anni fa: «Zona 4», o «Z4» (via Mecenate).
Poi col tempo sono comparse «Z2», «Z3», «Z6», «Z9» (con riferimento ai municipi di Milano), fino a un' evoluzione successiva ancor più localizzata: «Crvt» (per Corvetto), «Pdv» (via Padova), «Gl27» (il gruppo delle case di via Gola finito in una recente indagine della polizia per il mega incendio in strada di Capodanno e l' aggressione ai vigili del fuoco).
C'è stata la stagione (non chiusa, ma in buona parte contenuta dalle inchieste) delle pandillas sudamericane. Replica più o meno fedele delle bande nei Paesi d' origine riproposta da ragazzi di Ecuador, Perù, Salvador con risse e accoltellamenti. Altra espressione dello stesso fenomeno sono le piccole gang con derive criminali (spaccio, rapine in serie) di ragazzini che si trovano in totale marginalità sociale e si uniscono per la violenza, come quella di minorenni egiziani arrivati in Italia come «minori non accompagnati» e appena arrestati dal commissariato di «Porta Genova».
BABY GANG A MILANO
E infine, è la tendenza più recente, si moltiplicano nuove aggregazioni di ragazzi (di nazionalità diverse) che fluttuano tra una radicatissima territorialità - Zona, quartiere, via, «blocco» inteso come singolo palazzo di case popolari - e il continuo esibizionismo social , che si riversa soprattutto nelle stories su Instagram , ma anche in graffiti e tatuaggi. Rivalità finora molto più virtuali che reali, ma che colpiscono come sostrato di aggressività diffusa e intensa.
È da questa quotidianità di violenza «parlata» che a volte emergono fatti di violenza reale: «Le gang milanesi nascono sul territorio e lì si radicano - spiega Ciro Cascone, capo della Procura del Tribunale per i minorenni -. Ultimamente è capitato di incappare in nuove bande di ragazzi di origine straniera dove il collante che genera l' aggregazione è il quartiere o persino la via, più che il Paese d' origine. Etnie diverse e mescolate, dunque. Sono ragazzi e sempre di più ragazze anche molto giovani, di 14 o 15 anni.
BABY GANG A MILANO
A volte stringono patti di "fratellanza" tra gang che diventano amiche. Nei casi più estremi la trasgressione e la violenza sono esibite attraverso video e immagini che rimbalzano sui social , piene di simboli non banali da decifrare per chi sta fuori. Le piattaforme web diventano vetrine per magnificare la potenza di gruppo e scatenano la rivalità sul piano virtuale e, nelle derive peggiori, anche su quello della realtà cittadina».
Frasi così (estratte da una lunga ricognizione su profili Instagram ): «Puoi togliermi dalla piazza ma sai che non togli la piazza da me» (gruppo del quartiere «Tre Torri»); «Prega solo di non finire in zona mia e dintorni, perché lo vengo a sapere e ti uccido»; «Il gruppo sopra il corpo come fosse familia» (a commento di un tatuaggio della «Z4»); «Z3 porta la drogue »; «Fra' di zona» (scritto su lunga lama di coltello).
BABY GANG A MILANO
Espressioni, e aggregazioni, con una radice unitaria: «Il fenomeno delle baby gang richiama una degenerazione degli schemi di aggregazione tipici dell' età evolutiva - riflette Maria Carla Gatto, presidente del Tribunale per i minorenni -, caratterizzata da un codice di appartenenza che consiste nell' assumere comportamenti antisociali, distruttivi verso le cose, deturpanti verso l' ambiente, umilianti e prevaricanti verso le persone, specialmente quelle più deboli, oppositivi ed insofferenti nei confronti dell' Autorità. Le cause di tale deriva sono complesse, di natura tanto sociale che familiare e personale».
Dai canali virtuali ai muri della città, si nota sempre più spesso una corrispondenza con i graffiti: «Sono in aumento nei quartieri i segni delle "Z", spesso accompagnati a frasi di una semantica aggressiva - spiega Fabiola Minoletti, che da anni studia il writing vandalico milanese ed ha registrato l' emersione di nuovi "filoni" - Il legame con il proprio quartiere, o il proprio "blocco" (inteso come casa popolare) è sempre più forte e la comparsa di scritte riconducibili addirittura alle vie di appartenenza, come via Gola, ne è una nuova ed ulteriore conferma».