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    ANCHE IN ITALIA TIRA UNA BRUTTA SHARIA - L'ANAGRAFE DEL COMUNE DI ANCONA HA ANNOTATO IL "RIPUDIO ISLAMICO" DI UNA DONNA BENGALESE - LA SIGNORA AVEVA DENUNCIATO L'UOMO PER MALTRATTAMENTI, E AVEVA CHIESTO LA SEPARAZIONE, MA LUI È PASSATO AL CONTRATTACCO RICORRENDO AL "TALAQ", IL RIPUDIO SECONDO RITO ISLAMICO. UN CONCETTO CHE PERÒ NON È ACCETTATO DAL DIRITTO ITALIANO - LA REPLICA DEL SINDACO…


     
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    Estratto dell'articolo di Ferruccio Pinotti per www.corriere.it

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    Fa discutere la notizia che il «ripudio» di una moglie di origine bengalese da parte del marito - secondo la previsione della sharia - sia stato «annotato» presso il registro civile di un comune Italiano.

     

    La storia, raccontata da La Verità e Fuori dal Coro  e confermata al Corriere dai protagonisti, è quella di Liton, operaio bengalese alla Fincantieri di Ancona, il quale ritendendo che la moglie Jasmine (il nome è di fantasia) «volesse camminare e vestire come i cristiani» - come il 41enne, arrivato dal Bangladesh, ha detto alla giornalista Serena Pizzi, nel servizio andato in onda ieri sera nel programma Fuori dal coro di Mario Giordano, su Rete 4 - l'ha «ripudiata» nel paese d'origine, con un atto che però è stato recepito dall'ambasciata italiana e poi annotato presso l'anagrafe del Comune di Ancona.

     

    LA DONNA IN UNA STRUTTURA PROTETTA

    Da tempo Jasmine, che ha raccontato di essersi sposata a 15 anni (anche se nei documenti figurava già maggiorenne), vive in una struttura protetta in provincia di Ancona, con i bimbi minorenni, nati dopo le nozze combinate. Il marito si sarebbe spesso rivolto a lei con fare violento: «Mi picchiava, mi segregava in casa», ha raccontato la signora. Che infatti lo aveva denunciato per maltrattamenti, fino a chiederne la separazione giudiziale. Un passaggio fondamentale in questa la storia, come ora si capirà.

     

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    «È stato proprio a quel punto che la signora ha scoperto che un anno prima il marito l’aveva ripudiata», spiega al Corriere l’avvocato Andrea Nobili del foro di Ancona, che assieme al collega Bernardo Becci tutela i diritti della 35enne. «Abbiamo la documentazione che attesta che l'atto di divorzio secondo il rito islamico è stato annotato - non trascritto e questo fa la differenza - presso il Comune di Ancona, all'anagrafe. La signora era stata vittima di maltrattamenti e percosse, esiste un procedimento penale a carico del marito e un processo al tribunale dei Minori. L'uomo non accettava che la signora, giunta in Italia, si fosse emancipata, avesse trovato un lavoro e preso la patente. In pratica che fosse cambiata». 

     

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    […] Per quanto riguarda l'atto di «assorbimento» del rito islamico in Comune, l'avvocato spiega: «Abbiamo fatto le verifiche: c'è stata solo una annotazione, presumiamo in buona fede da parte del funzionario. Il comune di Ancona non pensa che quell'atto di divorzio, sia pure coi timbri dell'ambasciata italiana a Dacca in Bengladesh, sia valido. Liton tuttavia è riuscito a far passare l'annotazione. Diciamo questo, che siccome il funzionario non è tenuto a consultare le leggi italiane e internazionali, annota e basta. Ciò fa sì che nei registri dell'anagrafe sia finito un documento di ripudio. Per cui rispetto all'anagrafe e allo Stato civile la signora risulterebbe divorziata».

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    LE DOMANDE DELL'AVVOCATO

    Nobili prosegue: «Noi come legali abbiamo però rivolto una domanda alla Corte di Appello, perché questa annotazione ci sembra un atto contrario allo stato di diritto: i matrimoni contratti col diritto islamico come fanno a essere riconosciuti? I matrimoni islamici prevedono anche la poligamia, è un tema spigoloso su cui si preferisce non mettere le mani. I signori hanno due figli, chi e come provvederà al loro mantenimento? Il sindaco non ha responsabilità. Ma quanti sono nel nostro Paese i casi come questi? Il rito islamico prevede sottomissione, poligamia e ripudio: concetti da noi inammissibili. Rischiamo il relativismo giuridico, se non peggio». Liton parrebbe essere riuscito a presentare un documento trasmesso dal Bangladesh. […]

     

    IL SINDACO

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    Daniele Silvetti, sindaco di Ancona, cerca di ridimensionare la questione, sostenendo che non si tratti di registrazione ma di semplice annotazione; però la peculiarità dell’atto rimane. […] L’avvocato Becci, invece, chiarisce con La Verità che il funzionario «aveva il dovere di rifiutare l’annotazione proprio perché vìola il principio di ordine pubblico interno e internazionale. E va contro il principio di parità tra uomo e donna, dal momento che il ripudio è un atto unilaterale, affidato alla sola volontà maschile. Già il matrimonio islamico lo viola, in quanto si fonda su di una serie di prestazioni non uguali tra i coniugi».

     

    IL SINDACO DI ANCONA

    Il sindaco Silvetti Daniele Silvetti, Forza Italia, avvocato anch'egli, al Corriere dice però: «Da Fuori dal Coro e dalla Verità è stata fatta confusione, il dirigente dell'anagrafe ha solo preso un atto di divorzio presso uno stato estero, dove la parte rilevante per noi è solo la notizia del venir meno dell'unione civile. Abbiamo preparato una nota scrivendo al prefetto che rappresenta il governo. Il Comune non ha il potere di discerne o rifiutarsi di annotarlo, soprattutto se controfirmato dall'ambasciata italiana. Tocca al governo normare, ma intanto lo status della residente cambia. Ora lei è in una situazione delicata: e se richiede assistenza, a prescindere dal ripudio, le sarò offerta. In definitiva ritengo che ci sia un disallineamento tra anagrafe e Stato civile, ma il funzionario non voleva esporsi a una sottomissione».

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    LA CASSAZIONE: LA TALAQ VIOLA IL PRINCIPIO DI DISCRIMINAZIONE

    Per la Cassazione, la Talaq viola il principio di non discriminazione tra uomo e donna mettendo in atto una discriminazione di genere. «Abbiamo fatto ricorso in Appello», informano i due avvocati, «chiedendo che sia cancellata l’annotazione nella scheda anagrafica». […]

     

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