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Gian Marco Chiocci e Simone Di Meo per "il Giornale"
Enrico La Monica, il maresciallo napoletano del Ros indagato nell'inchiesta «P4», oltre a non essere più un latitante non è nemmeno un disertore. E non ci sono prove che la lunga permanenza in Africa - dove vivono la moglie e i figli - prima che scattasse la richiesta d'arresto nei suoi confronti sia stata ottenuta con certificati medici falsi. Anzi, è vero il contrario: il sottufficiale dell'Arma soffre di gravi crisi depressive che gli hanno impedito di tornare al lavoro.
E se fosse stato arrestato, La Monica sarebbe rimasto in galera ingiustamente, dice oggi il tribunale del Riesame nelle motivazioÂni delle sentenze che hanno via via falcidiato i capi d'imputazione più gravi. Ovvero l'esistenza di un'associazione per delinquere con Alfonso Papa, Luigi Bisignani e l'agente Giuseppe Nuzzo, per ottenere informazioni riservate da utilizzare come arma di ricatto nei confronti di politici e imprenditori, e l'accusa di concussione nei confronti dell'imprenditore Giuseppe De Martino affinché non denunciasse Trenitalia per una presunta storia di gare truccate.
Ma se l'inchiesta penale non è ancora terminata, diversa è invece la situazione per quanto riguarda la contestazione della Procura militare. Il gup Carlizzi ha di fatto demolito l'impianto accusatorio riscontrando non solo la correttezza dell'operato del carabiniere (difeso dall'avvocato Domenico Mariani) ma anche l'inconsistenza della ricostruzione dei fatti avanzata dalla magistratura militare inquirente.
In particolare, La Monica era accusato di non essersi ripresentato alle autorità militari al termine di un periodo di malattia «senza far pervenire alcuna comunicazione e comunque senza giusto motivo». Dal 15 febbraio 2011 al 13 giugno 2011 (data in cui il gip di Napoli ne aveva disposto l'arresto nell'ambito dell'indagine del pm Woodcock), La Monica non avrebbe dato informazioni di sé ai suoi superiori. Il giudice dell'udienza preliminare non ha condiviso però il ragionamento del pubblico ministero, sia perché «nel periodo in contestazione,l'imputato non era gravato da alcun obbligo di presentazione all'autorità militare» e sia perché l'«assenza dal servizio fu determinata da un giusto motivo di carattere sanitario» che lo aveva portato a essere collocato in aspettativa.
Né può essere dimostrato che la malattia di La Monica sia frutto di simulazione, o di un accordo con i camici bianchi. Dal 13 giugno 2011, La Monica è sospeso dal servizio perché raggiunto da un ordine di carcerazione (successivamente annullato) come appartenente alla presunta associazione per delinquere denominata «P4».
Una affiliazione che i pm gli hanno attribuito per via dei contatti telefonici con il solo Papa, ma che la Cassazione e il tribunale del Riesame hanno bocciato. Sostanzialmente perché, a differenza di quanto ipotizzato dalla Procura, manca lo «stabile apparato organizzativo autonomo e indipendente» proprio di un'associazione per delinquere.
Quanto all'accusa di aver fatto pressione sull'imprenditore De Martino ( socio di Bisignani) perché rinunciasse a rivolgersi alla magistratura, i giudici del Riesame sono stati ancor più tranchant : le ipotesi accusatorie «non superano la soglia della congettura» non spiegando quale interesse potesse avere un maresciallo del Ros a risparmiare a Trenitalia una denuncia.
E, a proposito del teste iniziale dell'inchiesta, i giudici vanno anche oltre e bacchettano la Procura «in ordine alla genuinità della ricostruzione dei fatti offerta da De Martino, palesemente sollecitato a ricordare condotte induttive degli indagati, alle quali l'imprenditore non aveva mai fatto cenno in precedenza». Un aiutino mnemonico che i giudici non hanno granché gradito.
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