DAGOREPORT – MATTEO FA IL MATTO E GIORGIA INCATENA LA SANTANCHÈ ALLA POLTRONA: SALVINI, ASSOLTO AL…
Marco Cremonesi per il “Corriere della Sera”
meme del presepe con matteo salvini giorgia meloni silvio berlusconi
Il centrodestra che non si vede. Nella Lega le parole di Giorgia Meloni hanno causato più di un malumore. La leader di Fratelli d'Italia ha infatti spiegato, nell'intervista a Venanzio Postiglione sul Corriere di ieri, il suo obiettivo: quello di un bipolarismo netto con «due grandi fronti che si contrappongono. Uno è quello progressista e l'altro è quello conservatore, che noi vorremmo costruire anche qui e che Fratelli d'Italia si candida a guidare».
Nella sua intervista, Meloni cita la parola centrodestra una volta soltanto: per indicarlo come gruppo che non ha i numeri per eleggere da solo il capo dello Stato. La parola «conservatori» è invece centrale e punto di partenza di riflessioni assai articolate: nulla di strano, visto che Giorgia Meloni è la presidente dei Conservatori europei (Ecr). Ma l'allargamento di quest' area e della sua aspirazione egemonica, con esplicita rivendicazione di leadership («Se ne saremo capaci»), certamente dentro la Lega non passa inosservata. E non viene presa bene. Se Matteo Salvini tace, anche per salvaguardare il suo sforzo di unità della coalizione in vista delle votazioni per il Quirinale, tra i dirigenti del partito tira irritazione forte.
GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI AD ATREJU
Andrea Crippa, il vice segretario, la mette così: «La sede naturale dei conservatori sarebbe il centrodestra. Certo che se la leader di uno dei partiti centrali dell'alleanza dice che li vuole rappresentare lei, non è chiaro a che cosa serva il centrodestra». Il problema, in realtà, è assai più sentito di quanto a prima vista non sembri. Addirittura, un senatore importante la dice così: «Il centrodestra non esiste. Non c'è un tavolo, non c'è una comunicazione fluente tra i leader, non ci sono accordi solidi per le Amministrative». Quel che esiste sono «tre leader che cercano ciascuno di massimizzare il loro tornaconto a danni degli altri due».
Anzi, dire tre è poco: «Anche i centristi e gli ex democristiani non sono disponibili a rinunciare a un milligrammo della loro leadership per favorirne una unitaria: d'altronde, litigano al loro interno anche quando sono in due». Per tacere della serrata campagna acquisti che viene fatta da un partito ai danni dell'altro. E così, anche la visita di ieri in Vaticano di Giorgia Meloni, che ha incontrato il segretario per i rapporti con gli Stati monsignor Paul Richard Gallagher, richiede la precisazione di Ignazio La Russa: «Non c'è bisogno di trovare motivi polemici nei confronti di altri». Insomma, la grande paura è che per il Quirinale ciascuno faccia per sé, a dispetto di quanto pubblicamente ripetuto da Salvini come da Meloni.
Secondo i leghisti, Fratelli d'Italia sarebbe in costante assalto. Molto citato l'esempio di un paio di settimane fa, quando FdI si è battuto in modo serrato perché il seggio dello scomparso senatore leghista veneto Paolo Saviane andasse a loro anziché alla leghista calabrese Clotilde Minasi: «Sono riusciti a dire che Saviane avrebbe preferito un veneto di un altro partito a una leghista non veneta». E così, nel Carroccio comincia a diffondersi un'ipotesi fin qui sempre respinta.
Il ritorno al proporzionale, magari di stile tedesco (con soglia di sbarramento al 5%). Il sogno di alcuni leghisti è quello di uscire dal governo e lasciare che il Parlamento approvi il nuovo sistema: «Fratelli d'Italia non potrebbe più lucrare da solo sul suo essere all'opposizione, noi potremmo giocarci la nostra campagna elettorale nel 2023 a mani libere». Ma appunto, la cosa divide: «Una follia - sbotta un leghista - così al governo non andremmo più: l'uomo da cucinare diventerebbe Salvini».
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