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Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"
Le rivelazioni di Edward Snowden hanno fatto molto rumore e l'obiettore-talpa entrato nella Nsa da contrattista della Booz Allen Hamilton (che ieri l'ha licenziato) ha avuto manifestazioni di simpatia molto maggiori di Bradley Manning, il soldato del caso Wikileaks.
Ma, anche se molti hanno sostenuto che è venuta l'ora di aprire un dibattito sulle procedure di sicurezza interna e di spionaggio internazionale adottate dagli Stati Uniti, è improbabile che ciò avvenga, almeno nel prossimo futuro.
Il caso Nsa certamente imbarazza Barack Obama: ieri la sua Amministrazione è stata denunciata dall'Aclu, l'Associazione per i diritti civili, che chiede al tribunale di New York di dichiarare illegali i controlli telefonici a tappeto attivati da tempo dall'«intelligence» federale e rivelati da Snowden: un caso che potrebbe finire di fronte alla Corte Suprema.
Ma proprio questa pressione può spingere il presidente a soprassedere, almeno per il momento, anche sull'azione diversa (ma che va nella stessa direzione) da lui intrapresa qualche settimana fa con lo «storico» discorso sulla sicurezza: far uscire gli Stati Uniti da un clima di guerra permanente per evitare che nelle istituzioni metta radici una logica dell'emergenza che alla lunga può corrodere la democrazia.
Un discorso difficile, da portare avanti con cautela per non provocare grossi contraccolpi. Le notizie «top secret» ripetutamente pubblicate nei giorni scorsi sono cadute su tutto questo come una valanga costringendo Obama prima sulla difensiva (le spiegazioni date poche ore prima del vertice col presidente cinese Xi Jinping), poi spingendolo a un lungo silenzio.
Dalla battaglia per la riforma dell'immigrazione alla «pillola del giorno dopo», il presidente sta facendo il possibile per spostare l'attenzione degli americani su altri temi, in attesa che gli organi della giustizia federale completino le indagini e prendano le loro decisioni sull'incriminazione di Snowden, chiarendosi anche le idee sulla possibilità di catturarlo.
Una riflessione sull'estensione dei sistemi di sicurezza nell'era di «Big Data» - il cui occhio elettronico arriva ormai ovunque nelle nostre vite di cittadini, consumatori, pazienti - prima o poi andrà sicuramente fatta. Ma è difficile che un dibattito sullo spionaggio prenda quota in questa fase, e ciò per almeno tre motivi.
1) à molto più facile discutere di abbandono della cultura della guerra permanente, di mentalità dell'emergenza che giustifica forzature e abusi, che affrontare un tema come quello dei poteri e del raggio d'azione dei servizi segreti: una materia che per la sua stessa natura è quasi impossibile da discutere in pubblico, come notava ieri lo stesso New York Times: un quotidiano «liberal» che ha criticato duramente l'Amministrazione Obama per i controlli a tappeto su telefoni e Internet, ma che ora analizza la situazione in modo più pragmatico.
2) Qualunque correzione di rotta Obama voglia imprimere alla sua politica per la sicurezza, non lo farà certo sotto la pressione di uno Snowden che, a differenza di quello che avvenne 45 anni fa con i «Pentagon Papers» di Daniel Ellsberg, non ha rilevato misfatti e bugie del governo, ma solo segnalato un pericolo potenziale legato all'estensione dell'apparato che è stato messo in piedi.
3) Da ultimo, nonostante la forte indignazione delle organizzazioni dei diritti civili e della sinistra democratica, la sensazione è che, col passare del tempo nella maggioranza dell'opinione pubblica americana si sedimenti l'idea che, per ottenere un po' più di sicurezza (dagli attacchi cibernetici oltre che dal terrorismo) qualche rinuncia sul fronte della «privacy» sia una dolorosa necessità .
Non è un dibattito facile: negli ultimi giorni è stata sollevata molta polvere, l'impressione che le agenzie federali per la sicurezza stiano invadendo spazi eccessiva è diffusa, la stampa continua a manifestare il proprio malessere nei confronti di un Obama la cui durezza nel punire le fughe di notizie dall'Amministrazione secondo molti tradisce le sue antiche promesse di trasparenza.
Ma una visione più pragmatica sulle esigenze di sicurezza nell'era dei cyberattacchi comincia a venir fuori dalle analisi di alcuni commentatori meno coinvolti nella mischia delle polemiche politiche Usa: come Gideon Rachman che sul Financial Times di ieri ha smontato le motivazioni del gesto di Snowden.
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