DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
Al povero David Brooks, commentatore potente del New York Times, e alla domenica del televisivo “meet the press “, uno che di solito parla e viene ascoltato religiosamente, un conservatore all'acqua di rosa perfetto per il New York Times, e che stava con i never Trump, è toccata la sorte triste di aprire il dibattito su dove andremo a sbattere, e sta prendendo un sacco di botte.
Qual è la sua colpa? Aver scritto proprio sul New York Times, ovvero uno dei giornali che si sta cibando di spiate anonime e accuse non corroborate da prove per tentare di smantellare la presidenza Trump, che i giornalisti stanno perdendo la testa dietro al Russiagate senza trovare una sola prova degna di questo nome, e che forse sarebbe il caso per chi voglia combattere la presidenza di cercarne le ragioni sensate nell'agenda politica, nel muro col Messico, nella politica con l'Islam, nella posizione sul clima.
Forse basta, è il ragionamento di Brooks, stare appresso alle guerre e alle lotte intestine tra servizi segreti tecnocrati e burocrati di Washington che ci stanno facendo deragliare. Ma per il momento la linea non passa, tra CNN che rimbecca Brooks dicendo che scoprire gli scandali è dovere e merito dei media, altri commentatori liberal più rabbiosi ancora che gli dicono che a suo tempo contro Bill Clinton gli scandali gli piacevano, fino al Washington Post, che si compiace di procurare un mal di testa ogni mattina al risveglio al Donald Trump.
Però qualcosa si muove perché anche altri giornalisti più o meno illustri cominciano a parlare. Eccone una:
Vi stupite se ci scappa il morto, anzi ci è già quasi scappato, col povero Scalise che lotta tra la vita e la morte? Il clima è talmente deteriorato, e coloro che hanno sempre esercitato pur nella critica, pur nell'opposizione dura, controllo e capacità di giudizio l'hanno talmente perduta che forse hanno compromesso per i decenni a venire la reputazione Il clima nei media è, tanto nelle news quanto nella parte di intrattenimento, troppo spesso pieno di risentimento feroce, di antipatia che chiama all'agitazione.
Peggy Noonan, fresca di Pulitzer per il Wall Street Journal, una conservatrice che non ama Donald Trump, il suo Presidente resta sempre Ronald Reagan, ma che ha usato equilibrio e cervello nel seguire la campagna elettorale del 2016, scrive molto bene che la situazione è giunta a un livello di guardia.
Elenca i cinque casi più clamorosi. Un'attrice comica si fa riprendere con in mano una testa mozzata sanguinante che e’ il ritratto del presidente Trump. A New York una rappresentazione estiva storica come quelle a Central Park trasforma il Giulio Cesare nell'assassinio del tiranno Trump.
Un commentatore della Cnn chiama il presidente “pezzo di merda”, una macchia sulla presidenza. Un anchorman della Msnbc si chiede mentre è in onda se il presidente desideri provocare un attacco terroristico per calcolo politico. Stephen Colbert dice del presidente che l'unica cosa per cui la sua bocca è adatta e fare i pompini a Putin.
Gli aggressivi e rabbiosi sostengono di avere le loro ragioni perché la situazione è eccezionale e Donald Trump è un fascista, un provocatore, un affarista, tutto tranne che presidenziale. Perché, come ha detto tra le lacrime Kathy Griffin, quella della testa staccata, “quest'uomo mi ha distrutta”. Vero, commenta la Noonan, ma non nel senso che credi tu. Nel senso che ti ha tolto qualsiasi capacità di giudizio e di dignità e di autocontrollo. La stessa cosa che e’ accaduto a buona parte dei media, un’intera generazione che scricchiola e sta per crollare sotto la pressione storica di Donald Trump.
L'uomo deve essere davvero potente per ridurli così, conclude Peggy Noonan, eppure e’ tutta gente potente, ricca, popolare, ma si sono ridotti a rappresentare rabbia e a diffondere rabbia.
Più rabbia che fatti, a essere onesti, ed è proprio questo il punto dolente. Il Washington Post qualche giorno fa spara la notizia che tu ti riprendono con grande risalto secondo la quale il procuratore speciale Robert Mueller indagando sugli affari del primo genero Jared Kushner. Roba forte? Solo apparentemente perché lo stesso Washington Post aveva già scritto che gli investigatori avrebbero sentito Kushner che è un importante imprenditore immobiliarista e che ha avuto contatti con un banchiere di Mosca e con l'ambasciatore russo, contatti di affari.
Infatti, come dice l'avvocato di Kushner, si tratta di una procedura standard alla quale si sta attivamente collaborando e casomai la notizia bomba è rinviata a quando il procuratore speciale troverà qualcosa. In realtà la vera illegalità sta nel fatto che anche questa notizia come tante altre sia trapelata, ma questo non disturba il Washington Post.
Altra notiziona, il vicepresidente Mike Pence ha assoldato un avvocato. Pensa tu. Pence viene interrogato perché la famosa bugia o omissione di informazione il generale Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza nazionale, l'aveva detta proprio a lui ovvero gli aveva detto di non aver avuto alcun contatto con l'ambasciatore russo. Quindi Pence all'incontro con FBI ci va giustamente accompagnato da un legale, come da pratica, come è routine.
Anche questi sono solo esempi però sono illuminanti della crisi dei media americani. Si cita spesso o si citava Thomas Jefferson quando disse di preferire dei giornali senza governo che un governo senza giornali. Gli ultimi decenni però mettono paura. Alla fine degli anni Ottanta, il 90 per cento dei media era controllato da cinquanta società e già ferveva il dibattito sulla concentrazione di poteri.
Oggi quel novanta per cento è posseduto da 6 mega-corporazioni: le cosiddette Big Six (CBS, Comcast, News Corporation, Time Warner, Viacom, Walt Disney. Durante la campagna elettorale del 2016 hanno investito centinaia di milioni di dollari sul candidato Hillary Clinton, è usato qualsiasi mezzo per farlo eleggere. Oggi alla Casa Bianca hanno a sorpresa e con rabbia un outsider e un avversario. Si stanno organizzando.
(1 - continua)
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