DAGOREPORT - INTASCATO IL TRIONFO SALA, SUL TAVOLO DI MELONI RIMANEVA L’ALTRA PATATA BOLLENTE: IL…
M.Ima. per il Corriere della Sera
«Chiara abbiamo un grosso problema». Il messaggio le è arrivato sul telefonino alle 22.35, inviato dal suo portavoce che si trovava in Piazza San Carlo, quando ormai era chiaro che la Juventus non ce l' avrebbe fatta neppure questa volta e che almeno in Italia non sarebbe stata quella la notizia principale della finale di Champions League.
Chiara Appendino era nella prima fila della tribuna delle autorità. Accanto a lei c' era il ministro dell' Interno Marco Minniti. Ha aspettato la fine della partita, poi ha detto che non avrebbe potuto assistere alla premiazione di vincitori e vinti. «Pare che a Torino sia scoppiato un petardo e ci sia stato molto panico», ha detto alle persone che le stavano vicino. «Non capisco come sia possibile portare in piazza aggeggi del genere», ha chiosato, anticipando inconsapevolmente il tema dominante del suo giorno più lungo, che è cominciato in ritardo, causa i troppi charter in partenza dall' aeroporto di Cardiff.
IL RAGAZZO CON LO ZAINETTO A PIAZZA SAN CARLO
La sindaca di Torino ha mostrato una calma olimpica. La definizione del suo stato d' animo è di Evelina Christillin che le sedeva vicino. Gli ultimi 20 minuti di partita non li ha visti. Era china sul cellulare. Ma è stato l' unico dettaglio che lasciava intuire qualcosa fuori posto. «Si è trovata in una situazione difficile», dice la nostra rappresentante italiana all' Uefa. «L' ha gestita con grande consapevolezza e maturità». Il suo aereo è atterrato alle 5 di mattina. Appendino voleva andare in Piazza San Carlo. Non c' è più niente, le hanno detto i suoi collaboratori.
«Stanno pulendo tutto».
Molti caffè dopo, riappare insieme a questore e prefetto, foto e dichiarazione di gruppo a testimonianza di una unione istituzionale di intenti che già in serata comincerà a mostrare qualche crepa. Pallida, occhi e occhiaie bassi, l' aria contrariata. Mentre usciva di casa ha letto la dichiarazione del suo compagno di partito e conterraneo, il senatore Alberto Airola, con il quale le è già capitato di avere qualche divergenza di vedute sul tono delle esternazioni che riguardano Torino, che denunciava una cospirazione dei poteri fortissimi ai suoi danni aumentando e ingigantendo il numero dei feriti. L' ira dei miti non è mai tremenda, ma la sindaca non l' ha presa bene.
«Non esiste alcun complotto contro di me. Come al solito Airola parla a titolo personale.
Sono opinioni sue, dalle quali noi prendiamo le distanze».
Saranno le sue uniche parole fuori dal registro ufficiale, seguito con dedizione e conseguente chiusura a riccio, come sempre quando l' aria si fa spessa. La decisione di mettere la sua firma al comunicato congiunto di prefettura e questura dove venivano comunicate le cifre ufficiali di una tragedia sfiorata è l' unico atto politico del giorno dopo, una implicita risposta che ha poi generato l' indietro tutta di Airola, al quale avrebbe fatto sapere di non avere alcuna voglia di essere tirata in ballo in dispute da tastiera.
«Sono mortificata». Lo ha ripetuto in ognuna delle sue tre visite ad altrettanti feriti. La prima è stata al Regina Margherita, l' ospedale dei bambini. I presenti riferiscono di averla vista piangere, mentre abbracciava la madre della piccola cinese ancora in terapia intensiva. Il Comune si è offerto di contattare Trenitalia per risolvere i problemi dei genitori della ragazza calabrese gravemente ferita, bloccati a Napoli per mancanza di posti disponibili sul Freccia Rossa per Torino. Sono arrivati in serata. L' incontro con i tre pazienti in codice rosso è stato l' ultimo impegno più o meno ufficiale. La parte difficile è cominciata subito dopo, e non sembra essere ancora finita.
La sindaca si è chiusa in municipio per alcune ore, limando un comunicato che sembra redatto in un perfetto democristiano, attento a precisare senza fare attacchi diretti. Paolo Giordana, il suo braccio destro, ha spinto per una reazione decisa, consapevole del fatto che il palleggio delle responsabilità è appena agli inizi. La linea decisa da Appendino è un «non esageriamo» in deciso contrasto con i furori dei suoi principali collaboratori, più propensi a una comunicazione che ancora non molto tempo fa si sarebbe definita grillina.
Ma l' arena delle accuse incrociate dove si usa la sciabola non è il suo campo. La sua prima giornata campale, con un migliaio di feriti negli ospedali cittadini, l' ha trascorsa indossando l' abito istituzionale, quello che porta meglio e le permette di non esporsi con i media. «Non doveva succedere, punto», ha detto in serata lasciando l' ufficio. E almeno su questo, tutti d' accordo .
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