DAGOREPORT - PER RISOLVERE LA FACCENDA ALMASRI ERA SUFFICIENTE METTERE SUBITO IL SEGRETO DI STATO E…
militari russi posano con foto di putin e assad
1 - MOSCA: TECNICI PER L’ESERCITO DI ASSAD “AIUTI CONTRO L’IS, NON COMBATTIAMO”
Nicola Lombardozzi per “la Repubblica”
Prima un po’ di ironia e qualche rassicurazione: «Militari russi in Siria?», sorride il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, «vedo in giro un po’ di isteria. Siamo presenti da quelle parti da oltre vent’anni. Addestriamo le truppe di Damasco e distribuiamo aiuti umanitari».
Subito dopo però, ecco un altro segnale poco tranquillizzante: la tv Rbk , senza ricevere alcuna smentita, comunica che già dall’8 di questo mese e fino al 17, la nave da sbarco Saratov della Flotta del Mar Nero sta effettuando manovre militari al largo delle coste siriane con tanto di prove di lanci di missili e di missioni simulate da parte dei mille paracadutisti ospitati nelle sue stive.
Le compagnie aeree civili sono già state avvertite di fare attenzione sulle rotte che incrociano nel raggio di 70 chilometri da Tartus, porto siriano, che grazie alla benevolenza dell’amico presidente Assad è l’unica base logistica concessa alla Marina russa in tutto il Mediterraneo.
Tutto nel pieno rispetto delle norme internazionali. Con una conferma che arriva anche dal Libano. «Da Russia e Iran solo esperti militari», dice il responsabile militare di Hezbollah. Ma, tra le righe delle dichiarazioni ufficiali di Mosca, appare evidente la voglia di infierire sui nervi scoperti di Washington riguardo alla crisi siriana.
«L’esercito di Assad — dichiara per esempio il portavoce preferito di Putin, Dmitrj Peskov — resta per noi la sola forza in grado di fermare l’ondata di violenza scatenata dai ribelli e dal cosiddetto Stato Islamico». La conferma, se ce ne fosse stato il dubbio, che la Russia si ripropone come una forza attiva in una eventuale coalizione mondiale contro il pericolo Is, ma che allo stesso tempo non intende mollare il rais siriano, al centro delle minacce statunitensi, britanniche e francesi.
Una bella mina diplomatica che Vladimir Putin sta ancora perfezionando in attesa di farla esplodere il 15 settembre prossimo nel suo atteso intervento all’Assemblea dell’Onu. Mentre si gode insieme all’amico Berlusconi lo splendido panorama della sua dacia di Sochi, il presidente russo prepara infatti un discorso che suonerà più o meno così: «Se volete una mano contro l’Is dovete accettare anche le nostre condizioni».
A perfezionare l’effetto dell’intero show ci sta pensando lo staff del Cremlino che da mesi lavora per confezionare un incontro “a sorpresa” al Palazzo di vetro con Papa Francesco, che già altre volte, e proprio sulla Siria, si è ritrovato più in linea con Putin che con le bellicose tentazioni occidentali. Lo staff del Papa ha risposto in perfetto stile Francesco, mostrandosi disponibile a patto che «Putin non faccia aspettare Sua Santità come l’ultima volta». Allusione scherzosa, ma non troppo, al ritardo di oltre un’ora con cui Putin si presentò a un’udienza in Vaticano nel giugno scorso.
Intanto giganteschi aerei Antonov continuano a scaricare a Tartus e Latakia, mezzi blindati, rifornimenti e tecnici specializzati nella manutenzione dei vetusti sistemi antimissili siriani di fabbricazione sovietica. L’operazione, dicono i giornali russi, sarebbe approvata dai paesi arabi moderati come Arabia saudita, Giordania ed Egitto che vedrebbero con piacere l’Armata russa in azione contro la minaccia integralista. E non è finita.
Il Medio Oriente che ribolle e le diversità di vedute già manifestate potrebbero, secondo Mosca, accentuare le divisione tra i paesi Ue. Molti dei quali, Italia compresa, sono sempre più insofferenti alle sanzioni e all’accerchiamento deciso contro la Russia dopo le vicende ucraine. In attesa di volare a New York, Putin sa bene che proprio nel caos di Damasco si potrebbe nascondere la chiave per cambiare l’attuale clima da Guerra Fredda.
truppe russe e mezzi sbarcano dalla nikolai filchenkov
2 - DAL CAVIALE ALLE ARMI LA STORICA ALLEANZA TRA I RUSSI E DAMASCO PER IL MEDITERRANEO
Alberto Stabile per “la Repubblica”
C’è stato un tempo, verso la metà degli anni ‘90, in cui a Damasco fioriva un ricco mercato nero di icone antiche e di caviale del Don. Era, questo trafficare di immagini sacre e di perline nere di Beluga ai margini del suk, un segno inequivocabile della presenza russa nella Siria di Hafez al Assad, padre dell’attuale presidente, Bashar.
truppe russe su una nave a latakya 1 aprile
Una presenza quella dei russi che, proprio perché connessa al potenziamento della macchina militare siriana, uscita a pezzi da ben tre guerre perdute contro Israele, era avvolta nella massima segretezza. Ancora oggi, in certe strade della capitale siriana, nonostante gli attentati e i colpi di mortaio dei ribelli, donne in età dall’aspetto e dall’accento inconfondibilmente russi non rinunciano al loro improvvisato mercatino di scialli fioriti e collanine d’ambra.
soldato russo posa con alcune donne a damasco siria
Insomma, l’ultimo luogo al mondo dove si avrebbe ragione di gridare “mamma li russi!”, sospettando un intervento delle armate di Putin a sostegno del traballante regime di Bashar, è proprio la Siria dei giorni nostri. Per il semplice motivo che i russi, vuoi come “consiglieri militari”, vuoi come tecnici petroliferi, vuoi come esperti delle più svariate “attività bilaterali” (dal turismo alla ricerca) in Siria ci sono sempre stati e persino ben prima che la famiglia Assad si insediasse al potere.
Gli inviati di Mosca s’erano presentati a Damasco subito dopo la proclamazione dell’indipendenza siriana, il 14 Aprile del 1946. La potenza terzomondista per eccellenza si offrì di aiutare la Siria, appena uscita dal giogo colonialista francese, a costruire il nuovo stato. Missione fallita, come si sa. Il mondo diviso nei due blocchi spinse poi l’Unione Sovietica a schierarsi con l’Egitto e con la Siria durante la crisi di Suez nel ‘56. L’Egitto fu perso poco dopo. Ma non la Siria che, con la sua finestra sul Mediterraneo, tra Tartus e Latakia, avrebbe potuto offrire un appoggio vitale alla flotta sovietica del Mar Nero.
soldato russo dimitry glezdnev 8 luglio
Vitale perché nelle analisi degli strateghi russi, fin dal periodo zarista, una sconfitta in uno dei due mari limitrofi equivale a una sconfitta in tutti e due i mari. Così nacque lo scambio, sancito da un trattato di amicizia e cooperazione firmato, per la Siria da Assad padre, e, per l’Urss, da Breznev e Cernenko. Mosca, negli anni, ha fornito armi a Damasco per 13 miliardi di dollari (un debito poi condonato per 3/4 nel 2006) in cambio della possibilità di stabilire una base «di forniture e manutenzione» per la flotta sovietica nel Mediterraneo, a Tartus, la cittadina stretta tra colline punteggiate da fortezze crociate e il mare, a 40 chilometri da Latakia e a 300 da Damasco.
soldato russo ad aleppo foto postata il 27 luglio da sergei alexandrov
Tartus, Latakia e le montagne che le incoronano, sono anche la roccaforte degli alawiti, la setta di derivazione sciita, di cui fa parte la famiglia Assad (ed appartiene ai paradossi della storia che siano stati proprio i colonialisti francesi ad elevare la regione degli alawiti al rango di regione autonoma e a puntare su quella minoranza per consolidare il loro potere).
Ora, si può supporre che Assad padre abbia deciso di ospitare le navi sovietiche a Tartus per garantirsi una super protezione in caso di bisogno? Allora, forse, sarebbe stato eccessivo pensare ad un calcolo del genere. Ma oggi, con il regime che perde il controllo di fette sempre più grandi di territorio a vantaggio delle formazioni ribelli, ormai quasi tutte di matrice islamista, gli analisti militari si riferiscono all’asse Damasco- Homs-Latakia, come all’ultima trincea dove Assad può tentare di resistere, una sorta di corridoio della salvezza. E certo, il fatto che a Tartus siano ancorate le navi di Putin, potrebbe offrire al presidente siriano una possibilità in più di sopravvivenza.
soldato russo a tartus foto postata da nikita saveliev
In realtà l’assistenza russa al regime di Damasco, durante tutta la guerra cominciata con la rivolta popolare del 2011, ma successivamente debordata nella guerra civile e subito dopo in una guerra per procura a sfondo politico- religioso tra le potenze regionali, è corsa parallelamente sia sul versante militare che su quello politico e diplomatico.
La Russia ha sempre creduto che l’esercito fedele a Bashar, con l’appoggio decisivo della milizia sciita libanese di Hezbollah e con l’aiuto dei consiglieri iraniani, potesse avere la meglio sulle organizzazioni ribelli. Almeno fino a quando non è spuntato l’Is (lo Stato Islamico) all’orizzonte.
soldato russo a tartus foto postata da eduard lasenko
Durante questi ultimi quattro anni, i potenti e giganteschi Tupolev russi hanno continuato a riversare tonnellate e tonnellate di armamenti sulle piste degli aeroporti siriani controllati dal regime. «Armi che uccidono civili», accusato le organizzazioni umanitarie.
«Normali forniture perfettamente legali», ribatte Mosca. Ma che ci sia stato un salto di quantità e di qualità nel flusso degli armamenti in direzione di Damasco, sembra fuor di dubbio: da un miliardo e mezzo a cinque miliardi di dollari negli ultimi quattro anni. Anche se Putin s’è ben guardato di fornire all’alleato siriano i sistemi di difesa antiaerea S300 la cui dislocazione nella vicina Siria, Israele non avrebbe tollerato. L’alleanza resta, dunque, solida, ma che Bashar sia il cavallo vincente su cui Mosca continuerà a puntare è da vedere.
soldato russo a tartus foto di leonid bratersky
soldato russo a tartus 27 agostosoldato in posa a al sawda foto di sergei boroda 3 agosto 2015soldati russi posano per uno scatto di alexei arabovsoldati russi nella regione di homs foto postata da sergei tsyplakovsoldati alla base navale di tartussoldati russi a tartus 25 giugno by dmitry nesterenkosoldati russi a tartus postata da evgeny dolgarev il 9 maggiosoldati russi in siria foto di dmitry glezdnevsoldati russi in uno scatto postato da leonid braterskysoldato russo a latakia by alexei mikhaliov
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