DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
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Stato d’emergenza in Maryland, Guardia Nazionale mobilitata, coprifuoco a Baltimora e almeno quindici poliziotti in ospedale. E’ il risultato di un pomeriggio di rabbia e follia, in cui la violenza razziale è torna a scuotere gli Stati Uniti. Stavolta a Baltimora, ma per ragioni simili a quelle di Ferguson, New York o North Charleston: gli abusi delle forze dell’ordine contro i neri.
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Almeno quindici poliziotti sono rimasti feriti, uno al punto di perdere conoscenza, durante gli scontri scoppiati ieri pomeriggio dopo i funerali di Freddie Gray, un ragazzo afro americano di 25 anni morto nei giorni scorsi quando era in stato di arresto. Gray era stato fermato all’inizio del mese, e aveva perso la vita per una lesione alla spina dorsale, avvenuta mentre era sotto la custodia degli agenti. Un nuovo episodio di violenza ingiustificata, usata da poliziotti bianchi contro un detenuto nero. Questo caso aveva già provocato proteste a Baltimora nei giorni scorsi, che però non erano degenerate fino al punto di provocare nuove vittime.
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Ieri si sono svolti i funerali di Gray, e la situazione è cambiata. La cerimonia in sé è stata ordinata, con diversi leader del movimento per i diritti civili intervenuti a denunciare il pregiudizio razziale che ancora esiste nei confronti degli afro americani. Nelle strade, però, erano stati distribuiti dei volantini, che per le 3 del pomeriggio annunciavano l’inizio di una “purge”, ossia una protesta anarchica.
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Le manifestazioni sono cominciate nella zona del Mondawmin Mall, e si sono presto trasformate in scontri. Secondo il capitano Eric Kowalczyk, portavoce della polizia di Baltimora, alcune persone sono scese in strada con l’intenzione di provocare disordini. Forse erano membri di gang, e hanno iniziato a lanciare pietre e attaccare gli agenti. Quindici di loro sono rimasti feriti, e i colleghi a quel punto sono intervenuti in massa per bloccare gli scontri.
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Una farmacia e alcuni altri negozi sono stati incendiati e sono arrivate richieste per far intervenire i militari. Verso le sette di sera il governatore del Maryland, Larry Hogan, ha proclamato lo stato d’emergenza e ha mobilitato la Guardia Nazionale, per riprendere il controllo delle strade. Il sindaco di Baltimora, Stephanie Rawlings-Blake, ha invece imposto un coprifuoco notturno che durerà per una settimana: “Costruire questa città - ha detto il sindaco - è costato il lavoro di troppe persone, per lasciare che pochi estremisti la distruggano”. Il presidente Obama ha discusso la nuova crisi con il ministro della Giustzia appena confermato, Loretta Lynch, e poi ha chiamato le autorità locali per promettere “tutta l’assistenza necessaria” a fermare le gang.
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La scena ricordava quella che si era visto nell’agosto scorso a Ferguson, nel Missouri, dopo l’uccisione del diciottenne nero Mike Brown da parte di un agente bianco. In quella occasione le violenze peggiori cominciavano sempre la notte, quando le persone normali coinvolte nelle proteste tornavano a casa, e gli agitatori venuti da altre città si impossessavano delle strade per scontrarsi con la polizia. Oggi quindi sarà la giornata chiave per capire se i provvedimenti di ieri saranno sufficienti a fermare la rivolta, oppure siamo davanti all’inizio di un nuovo ciclo di violenze.
2. ASSALTO AI POLIZIOTTI E AUTO IN FIAMME DOPO I FUNERALI DEL RAGAZZO NERO UCCISO
Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
Prima il funerale nel ghetto nero di West Baltimore. Freddie Gray, morto per le fratture vertebrali patite dopo un arresto che la polizia deve aver condotto in modo molto violento, aveva 25 anni ma sembra un bambino: magrissimo nella grande bara bianca. Lo seppelliscono col suo cappello di baseball bianco e, sui piedi, un cuscino sul quale è stampato il suo volto sorridente.
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New Shiloh, la chiesa battista della cerimonia, è un’astronave di luce, pulizia e ordine in un universo urbano devastato. Centinaia di persone celebrano con rabbia, ma anche grande compostezza, la morte violenta di questo ragazzo che non era un santo (due arresti per spaccio dall’inizio dell’anno) ma che nel caso specifico non aveva minacciato nessuno, aveva solo cercato di sottrarsi a un controllo della polizia.
Centinaia di persone, leader politici e religiosi, anche una delegazione della Casa Bianca mandata da Barack Obama. Tutti chiedono giustizia ma invitano alla calma, anche la famiglia di Freddie. Ma l’elogio funebre del pastore-attivista Jamal Morrison Bryant è un invito alla mobilitazione, sua pure non violenta: «Tirate fuori il vostro spirito e cambiate questa città. Non è più tempo di essere neri in America e restare in silenzio».
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Baltimora è già una pentola in ebollizione e comincia a tracimare. E’ una delle capitali americane delle tensioni razziali e del crimine: 640 mila abitanti e 100 mila arresti solo durante la campagna della «tolleranza zero», a metà dello scorsi decennio, condotta dell’allora sindaco democratico Martin O’Malley (ora sfidante di Hillary Clinton per la Casa Bianca).
Un’ora dopo il funerale cominciano i disordini: non nel ghetto, ma in diverse zone commerciali della città dove bande di teppisti attaccano le auto della polizia, quando ne trovano una isolata. Il primo assalto, vicino a un centro commerciale, Mondawmill Mall, non è del tutto imprevisto: vengono intercettati messaggi su Internet che invitano a lanciare un attacco a sorpresa nella zona di North Avenue per poi trasferirsi in centro, verso il municipio.
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Il mall viene chiuso a tempo di record, ma le pattuglie che lo proteggono diventano bersaglio di un fitto lancio di pietre e mattoni: sette poliziotti restano feriti. Alcuni con fratture, uno perde conoscenza. Subito dopo cominciano i saccheggi di banche e farmacie in varie zone della città. Scene che ricordano la notte di fuoco di Ferguson. Ma allora, appunto, le bande aspettavano l’oscurità per agire.
Qui, invece, tutto avviene in pieno giorno. Alle due del pomeriggio anche la Baltimore University decide di chiudere il suo campus. I poliziotti si radunano in nuclei per presidiare i punti strategici della città, ma in altre zone le bande non trovano resistenza. C’è grande allarme perché, secondo alcune infomazioni che la polizia giudica credibili, tre delle gang più pericolose si sarebbero alleate per tendere agguati agli agenti che vengono che vanno in giro isolati.
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In rete chi invita alla rivola evoca «The Purge», un film del filone social-horror che immagina un’America scivolata in una dittatura che, come misura di pulizia sociale, stabilisce che una volta l’anno per un giorno ogni crimine sia ammesso, con la polizia che si ritira nelle caserme.
La situazione rischia di sfuggire di mano in una grande città nera a 40 chilometri da Washington, la capitale: una città anch’essa al 70 per cento nera. Gli appelli alla calma sbattono contro la determinazione delle bande ad attaccare la polizia (e quella del Maryland è una delle più violente d’America). Eppure Baltimora non è Ferguson: qui la famiglia non ha fatto proclami incendiari e i leader della comunità nera, pur esprimendo rabbia, dicono di avere fiducia nel capo della polizia e nel sindaco Stephanie Rawlings-Blake, figlia di un eroe nero dei diritti civili, che ha promesso punizioni severe e una rivoluzione culturale nel modo di perseguire i reati.
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La polizia ha gravi responsabilità per la morte di Gray, denunciate anche dal suo capo, un afroamericano. Ma adesso la priorità è ristabilire l’ordine. Gli agenti potrebbero non bastare. Non è ancora calato il sole su una città improvvisamente deserta quando il governatore Larry Hogan annuncia di aver messo in stato d’allerta la Guardia nazionale.
Mentre gli Orioles, la locale squadra di baseball, sospende i play off coi Red Socks, la gente si chiude in casa sperando che la notte non porti scene da sommossa come quella che sconvolse la città nel 1968 .
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