IL BIPOLARISMO DEL BANANA: DOPO COLOMBE E PITONESSE, ECCO L’AVVOCATO BUONO (COPPI) E L’AVVOCATO CATTIVO (GHEDINI)

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Mattia Feltri per "La Stampa"

Il bipolarismo psicologico di Silvio Berlusconi - descritto in politica con la logora metafora dei falchi e delle colombe - si è acceso in un lampo abbagliante ieri pomeriggio in Cassazione.

L' avvocato Franco Coppi, col suo approccio di velluto, ha alzato l'indice: «È vero o no che nel '93 o '94 - le date le confermerà poi l'avvocato Ghedini che in queste cose è più ferrato di me, ma gli anni penso siano quelli - che nel '93 o '94 Berlusconi è sceso in politica?». Niccolò Ghedini, che non è sciocco, avrà sopportato la piccola e forse involontaria umiliazione. In fondo Coppi voleva soprattutto comunicare alla corte che a suo parere il processo è così poco politico che lui nemmeno sa quando l'assistito abbia scelto la cosa pubblica.

Sui dettagli, dunque, chiedete all'onorevole avvocato. Erano lì, i due legali, spalla a spalla a scambiarsi plateali sguardi d'ammirazione. Si sa che il bipolarismo psicologico del berlusconismo ha trovato sempre il modo di convivere, perlomeno agli occhi dei curiosi, sia in famiglia sia nel partito, e ora anche nel foro. Semmai è stupefacente che il Capo abbia impiegato quasi vent'anni per applicare lo schema alla sua difesa, o quantomeno per assumere un avvocato. Nel senso che il parlamentare Ghedini ha finito con l'inquinare un ruolo con l'altro: un inquinamento che Coppi detesta almeno da quando difese Giulio Andreotti.

È pure una questione di indole. Ieri si è sentito Coppi parlare di «mancata soddisfazione di pretese probatorie» oppure di «declaratoria di prescrizione». Un latinorum che dentro le solenni aule del Palazzaccio echeggia come musica. Ed è successo poco dopo che Ghedini aveva tirato fuori una mascella alla Santanché, e aveva infilato gli occhi in quelli del procuratore generale a definire la sua requisitoria «molto efficace, molto fantasiosa». Una requisitoria dalla quale «qualcosina di più ce lo saremmo aspettato, o no?». Un tambureggiare di sarcasmo ai confini dello sprezzante. «La prova c'è, solo che il procuratore generale non ne parla».

«Anche questo tema si è dimenticato, il pg». Cose che in Cassazione non sapremmo, ma senz'altro ottime al talk show, dove Ghedini ha dato prova di reggere valorosamente alla vigoria di Marco Travaglio. Cose così: «Da non poteva non sapere siamo passati a non poteva non avvedersene... Oooh...». O così: «Eh no, questo no eh...».

Il passaggio è stato brusco. Coppi e la sua «prova tranquillante» o la sua «deludente risposta alla nostra doglianza» erano solamente l'aspetto scenografico. Ma dietro c'era tanta ciccia. Prima in aula è emerso in tutti i suoi centimetri Ghedini, talvolta ingenerosamente paragonato a Lurch, il maggiordomo della famiglia Addams, armato dell'affilata fedeltà che lo portava a chiamare il cliente «dottor Berlusconi». Poi è toccato a Coppi, piccino, fisicamente ovvio, andreottiano negli occhiali, nella pettinatura, in una raffinatezza spesso sporcata da un piglio popolano: i cornetti rossi in tasca, una battuta non riuscita a un avvocato nero che «non può arrossire».

Una esibita concretezza nel distinguere la vicenda penale da quella politica (attorno al processo, ha detto, si è «scatenata una caciara», romanamente parlando). Anche qualche asprezza nascosta sotto i modi morbidi: «I giudici dovevano avere l'umiltà...». «La sentenza, credendosi dotata del dono dell'umorismo...». «La superficialità col quale l'argomento difensivo è stato rigettato».

Ecco, per dirla male ma chiara, pareva l'esibizione della differenza fra difendersi dal processo e nel processo, sebbene Ghedini si sia ribellato: «Come faccio a difendermi nel processo se non accettano i nostri testimoni?». Però poi gli uscivano le risatine con pretesa ironica. La profusione di «straordinario». Di «meraviglioso».

Le considerazioni sospettabili di altezzosità, che in un accento veneto mai domato escono un po' stortignaccole: «Se questo è il metodo su cui si va ad affrontare il codice, abbiamo due codici diversi». Insomma, gli scappava la tendenza a menar le mani che, se ha avuto una logica, si è poi rivelata improduttiva. Vedere Coppi parlare per ultimo magari a proposito del «ruolo non ancillare della giurisprudenza penale rispetto alla giurisprudenza civile» - e senza che in piazza guerreggiassero eserciti di Silvio - ha fatto capire che qualcosa è cambiato. Se troppo tardi, si saprà oggi.

 

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