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Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
Con la ruvidezza che gli è propria, con l’astio che cova dentro, e con la sintesi degna di un poeta ermetico, Bossi boccia l’assalto al cielo di Salvini, la sua battaglia per la leadership intrapresa contro Berlusconi: «Pensa davvero di diventare così il candidato premier del centrodestra? È un coglio...azzo». Che tradotto in politichese vuol dire: non è rottamando un alleato che si conquista il primato, non è partendo due anni prima delle elezioni che si esce allo scoperto. Più o meno ciò che nella Lega pensano anche Maroni e Zaia.
Si vedrà se il giovane capo del Carroccio vincerà la sfida, però una cosa è certa: Salvini ha formalmente lanciato la volata e alle sue spalle c’è un gruppone di altri pretendenti al titolo pronti a scommettere sul fatto che «il ragazzotto» sia partito troppo presto e che verrà battuto sul traguardo, quando sarà il momento. Ma cosa ne sarà stato della coalizione quando verrà il momento? Quale forma nel frattempo avrà preso? Se il timing di Salvini differisce da quello dei suoi avversari, è perché il leader della Lega mira a rivoluzionare il centrodestra per trasformarlo in un blocco lepenista: perciò deve bruciare i tempi, ha bisogno di tempo. Gli altri competitor puntano invece sul medio periodo e su uno schema più ortodosso, simile al modello delle giunte di Lombardia e Liguria e dell’alleanza su Parisi per il comune di Milano.
L’accelerazione impressa da Salvini alla volata, ha imposto al gruppone di reagire. E c’è un motivo se ieri l’azzurro Toti ha rotto gli indugi, auspicando che il Parlamento inserisca nella legge sui partiti anche le norme per regolamentare le primarie: «Visto quanto sta accadendo, sarebbe l’unico modo per salvare il centrosinistra da se stesso e per salvare il centrodestra da se stesso».
Il governatore ligure — che nei sondaggi riservati avrebbe un indice di gradimento superiore a quello di Berlusconi — rompe un tabù in Forza Italia, sollevando indirettamente il problema dell’incandidabilità del «fondatore», che nel 2018 — a meno di una revisione della sentenza in Europa per il caso Mediaset — comunque non potrebbe correre per palazzo Chigi. La sortita di Toti viene interpretata come una possibile prospettiva da quanti, nel suo partito, temono l’assoggettamento a una forza «straniera» o peggio ancora l’irrilevanza e la successiva dissolvenza.
In ogni caso è uno scenario che traghetta verso il futuro: ecco qual è la valenza della battaglia per il Campidoglio. Il vaso di Pandora è stato aperto, perciò Berlusconi è furibondo con Salvini e la Meloni. Con il primo ha interrotto ogni contatto, «con lui non voglio parlare». Con la seconda ancora ieri mattina era propenso a discutere, perché pensava di far rientrare la sua candidatura per la Capitale. Ma quando nel pomeriggio ha capito che non c’era più alcun margine di mediazione, ha perso la pazienza: «Nemmeno la ricevo... Se penso che l’ho fatta ministro...».
GIORGIA MELONI GUIDO BERTOLASO
E giù una stoccata simile a quella riservata a Salvini «che di mestiere ha fatto solo la comparsa a Mediaset». Nel catalogo con cui divide «gli uomini del fare» dai «politicanti», l’ex premier ha incasellato a suo modo la leader di Fratelli d’Italia: «L’unico lavoro che ha fatto nella vita è stato la baby-sitter a casa di Fiorello».
«Silvio, che ti dicevo?», gli ha detto Matteoli, che da due mesi l’aveva messo in guardia: «Giorgia si candiderà, dammi retta». All’ex ministro non garba aver avuto ragione, «ma giusto perché tu capisca, l’attacco è partito dal palco di Bologna». A Roma Berlusconi ha tentato di rovesciare quella foto per mantenere il primato nella coalizione, invece è rimasto da solo con Bertolaso: «Andremo avanti con lui, farà un buon risultato». Così diceva ieri sera, ma per averne la certezza in Forza Italia tutti sono in attesa del prossimo sondaggio. Fra una settimana.
BERLUSCONI BERTOLASO
giovanni toti matteo salvini giorgia meloni
SILVIO BERLUSCONI E GUIDO BERTOLASO FOTO LAPRESSE
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