RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
IL RAPPORTO ECONOMICO E MILITARE TRA TURCHIA E UE
Giordano Stabile per “la Stampa”
Una delle prime decisioni di Recep Tayyip Erdogan, nel gennaio del 2005, è stata il varo della "lira forte". Via sei zeri dalla valuta massacrata dall' inflazione negli anni Settanta e Ottanta, che ormai circolava in banconote da svariati milioni, come il marco della Repubblica di Weimar.
La "nuova lira" doveva mostrare le ambizioni di potenza della Turchia e debuttò con una quotazione quasi pari a quella del dollaro. Ieri ce ne volevano 8,38 per un biglietto verde. Il crollo del 30 per cento in meno di un anno è il termometro della crisi che il leader turco teme di più, quella economica.
ERDOGAN NELLA COPERTINA DI CHARLIE HEBDO
Molti analisti spiegano la sua aggressività all' estero, «una guerra al mese», con Grecia, Cipro, Francia, nel Caucaso, fino allo scontro totale con Emmanuel Macron sull' islam, con la necessità di far passare in secondo piano i guai interni. Eppure l' economia rimane ancora un suo punto di forza. E la profonda integrazione che è riuscito a realizzare con l' Unione europea nei 17 anni al potere spiegano anche la timidezza di Bruxelles nei suoi confronti.
Le esportazioni dell' Ue verso la Turchia sono state l' anno scorso pari a 68,2 miliardi di euro, le importazioni sono salite del 4 per cento a 69,8 miliardi. I settori più importanti sono quello tessile e dell' automobile. I principali gruppi europei hanno delocalizzato impianti in Turchia, compresa la francese Renault ora finita nel mirino dei boicottaggi anti-Parigi.
Ankara ha puntato anche sullo sviluppo dei fornitori per le imprese straniere, soprattutto tedesche. Le esportazioni di componenti per auto sono salite nei primi mesi di quest' anno a 5,5 miliardi di dollari, il 38% diretto in Germania. L' unione doganale entrata in vigore il 31 dicembre 1995 è stata sfruttata con pragmatismo da Erdogan, il primo a capire che la piena adesione all' Unione non sarebbe arrivata mai e bisognava cavalcare l' onda della globalizzazione. L' Ue è stata il volano per una crescita "cinese".
Quando è arrivato al potere nel 2003 la Turchia era un Paese in via di sviluppo. Nel 2017 la Banca mondiale l' ha collocata fra le nazioni sviluppate, con un reddito medio di 14 mila dollari. L' intreccio economico, rafforzato da una diaspora di 2,9 milioni di turchi in Germania e 500 mila in Francia, rende complicato imporre sanzioni.
Tanto più che le banche europee hanno concesso prestiti a tutto spiano. L' esposizione complessiva è salita quest' anno a 110 miliardi di dollari, con la Spagna a quota 61, la Francia a 24, la Gran Bretagna a 21. L' Italia è meno esposta, 11 miliardi, soprattutto dopo che Unicredit si è disimpegnata dalla controllata Yapi Kredi. I crediti deteriorati, o Npl, secondo il "Wolf Street", sono saliti al 5,5 per cento. Tutti segnali dello sfarinamento del "miracolo economico" turco.
La crisi finanziaria del 2008, l' avventurismo in Siria e in Libia, l' acquisto di armi russe che ha innescato sanzioni Usa, infine il coronavirus hanno inferto colpi. Ma anche la deriva personalistica degli ultimi anni. Erdogan ha tessuto relazioni con vari leader mondiali, a partire da Donald Trump. Affari e politica a volte si mischiano. Il New York Times ha indagato sulle pressioni nei confronti della Casa Bianca per bloccare le indagini sulla Halkbank, accusata di aver violato le sanzioni contro l' Iran.
Trump ha investimenti in Turchia, che gli hanno fruttato 2,6 milioni di utili fra il 2015 e il 2018. Ed è stato avvicinato anche dal genero di Erdogan, Berat Albayrak, ministro delle Finanze. Per il Nyt questo spiega in parte l' atteggiamento morbido della Casa Bianca, in particolare lo scorso ottobre, quando Ankara ha scatenato l' offensiva contro i curdi delle Ypg nel Nord-Est della Siria. Ora però il credito sta per finire.
ERDOGAN A SANTA SOFIAkyriakos mitsotakis recep tayyip erdogan 1recep tayyp erdogan
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