DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Massimo Malpica per “il Giornale”
Contestato. Il quarto anniversario del sisma che sconvolse il centro Italia nell'estate 2016 non è una passerella per il premier Giuseppe Conte. Che, ad Amatrice, si presenta col fardello dei ritardi nella ricostruzione e tocca con mano dolore, rabbia (composta) e delusione di quanti aspettano ancora, da 1.461 giorni, che qualcosa cambi da quella notte terribile. Le premesse alla triste celebrazione non erano incoraggianti.
Il commissario straordinario per la ricostruzione, Giovanni Legnini, nel rapporto sui lavori già compiuti aveva ammesso i ritardi, imputandoli in buona parte alle lungaggini imposte dall'iter burocratico.
L'ex sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, aveva chiesto alle istituzioni di limitarsi a chiedere scusa, per l'anniversario del terremoto. E ieri anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, scrivendo ai cittadini delle aree terremotate, ha fatto un mea culpa istituzionale: «Nonostante tanti sforzi impegnativi, l'opera di ricostruzione dei paesi distrutti è incompiuta e procede con fatica, tra molte difficoltà anche di natura burocratica».
Così, quando Conte arriva per partecipare alla messa di commemorazione celebrata al campo sportivo dal vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, si confronta con quel clima, con quella disillusione. Un gruppo di amatriciani lo accoglie all'ingresso nel campo di calcio indossando magliette con la scritta «Presidente Conte vogliamo parlare con te». Lui li accontenta.
«Oggi è la nostra giornata vogliamo concretezza, siamo stanchi delle promesse», attacca Luciana, una donna, rivolta a Conte. «Dobbiamo anche ringraziare il premier che ha ascoltato le proposte di noi sindaci del cratere», la interrompe il sindaco di Amatrice, Antonio Fontanella, provando a mediare. Lei insiste: «Ho dovuto lasciare la mia terra, ho perso mio marito qua, siamo stanchi, voglio risposte dal presidente, a tu per tu, seduti a un tavolo a casa mia, una piccola casa, su ruote».
«Dopo vengo a casa sua e parliamo. Comprendo la sua insoddisfazione», abbozza Conte, e la donna ribatte: «Certo che comprende, ho perso mio marito per lo shock post-traumatico, si è ucciso, si è impiccato dentro casa, e sono stata io a trovarlo quella notte».
Mentre il sindaco insiste sul tasto delle accelerazioni previste per decreto nelle procedure per la ricostruzione, la musica sacra chiama alla messa, Conte «non vuole interrompere la cerimonia», chiude il confronto e raggiunge il segretario Pd Zingaretti nel settore riservato alle autorità, mentre tante sedie dei familiari delle vittime restano vuote. «Testimoniano compostezza ma anche un segnale chiaro», spiega Pirozzi, anche lui tra gli assenti. «Una protesta educata contro un premier che era già venuto qui a giugno 2018 e oggi, due anni dopo, ci dice che la colpa dei ritardi è della burocrazia. Io ho sempre rispettato le istituzioni, ma oggi non ce l'ho fatta», spiega al Giornale l'ex sindaco, ora consigliere regionale Fdi.
Conte, prima di andarsene, sparge ottimismo, comprensione. E tanta, tanta prudenza. «Quando si perde una figlia e una nipote, si ha sempre ragione», spiega dopo aver parlato con un'altra donna, poi aggiunge che «i cittadini di Amatrice hanno perfettamente ragione» a lamentarsi dei ritardi, di quella promessa mancata di far risorgere il paese. La colpa, spiega però il premier, è della «normativa vigente», mentre le nuove norme permetteranno di accelerare. Ma non troppo.
Perché, conclude il premier, «tra 6 mesi non cambierà molto, tra un anno neppure. Il processo di ricostruzione è molto lungo e complesso». Conte torna a casa, a quanto pare senza pausa caffè nella roulotte della vedova, e agli amatriciani restano promesse. O, come dice Paolo Trancassini, deputato Fdi, proclami che «comunque dicono che anche oggi cominceremo la ricostruzione domani».
2 - LO STATO PARLA MA NON FA
Stefano Zurlo per “il Giornale”
I discorsi. Gli appelli. Le macerie. Conte. Mattarella. Una donna esasperata. Tutti promettono e si stringono intorno alla comunità ferita. Sono passati quattro anni, tanti per tutti ma ancora di più per chi ha perso il filo rassicurante della quotidianità, e Amatrice è ancora un cratere, come si dice in questi casi. È successo all'Aquila con il terremoto e a Venezia con l'acqua alta e il Mose.
È accaduto un'infinità di volte: perfino alcuni quartieri di Milano vanno regolarmente sott' acqua e i temporali si sono trasformati in un flagello che si ripete con sconvolgente regolarità. Tutti auspicano un cambiamento, un passo più deciso, meno burocrazia e più fatti, poi ci si avvita sempre nelle stesse dinamiche: quello che non si poteva fare prima, si farà domani. Oggi no, non ancora, ma la svolta è in corso e la gente vedrà e capirà. Sia detto senza voler minimamente criticare il capo dello Stato che anzi fa la sua difficilissima parte e beve l'amaro calice delle incompiute nazionali, ma siamo stufi. Basta con le parole, le stesse già sentite l'anno scorso, due anni fa e ancora prima.
Ad ogni cerimonia. Ad ogni ricorrenza. Ad ogni evento che rinnova il dolore, la prostrazione, il lutto. Non può essere un'orazione a restituire la dignità perduta e a cancellare le privazioni, la polvere, il vuoto, la nostalgia fisica dei luoghi incerottati, bloccati da una sorta di sortilegio maligno in attesa di una ripartenza che slitta e slitta ancora.
Amatrice è oggi il cuore ferito di un Paese che dovrebbe darsi meno regole e regolamenti per non sprofondare con il suo carico di vergogne. Abbiamo magnificato il modello Genova, ma, per ora, si è capito che resterà come un unicum. Troppo complicato, ci si scusi il paradosso, togliere le complicazioni. Gli abitanti attoniti nemmeno capiscono: i soldi ci sono, o almeno dovrebbero esserci, i progetti pure e la volontà anche. E allora? È così difficile offrire un quadratino di speranza a chi vorrebbe solo tornare a sedersi sul divano, in salotto?
O dormire in camera da letto? Come aveva sempre fatto e come facciamo tutti. La pietà esibita e vuota, alla lunga, mostra tutta la sua miseria. E si ritorce contro chi la pratica. Contro lo Stato e le istituzioni, sempre più lontani e distanti, astratti nel loro iperuranio. Questo limite é già stato superato nei tanti luoghi in cui ai disastri si è sommata una cronica inefficienza. Sempre denunciata e mai sconfitta. In queste situazioni meglio tacere: la forma è anche sostanza. E rispetto per chi non ha più nulla.
sergio mattarella 2sergio mattarella sergio mattarella con la mascherina conte amatrice
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