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Maurizio Belpietro per “Libero Quotidiano”
libia cadaveri di migranti sulla spiaggia
Quella che vedete qui a fianco è la foto di tre scafisti libici. Non so dove l' agenzia Ansa l' abbia scovata. So che questa foto ritrae chi organizzò e condusse la traversata del Mediterraneo di centinaia di profughi che pochi giorni fa finirono in fondo al mare. I tre stringono tra le mani l' immagine di una delle loro vittime: bambini inghiottiti dalle acque mentre erano a bordo di una bagnarola sovraccarica.
Ad arrestare e a esporre alla pubblica gogna gli scafisti però non è stata l' Italia, bensì l' incivile e dilaniata Libia. Per capire chi avesse organizzato il viaggio della morte, chi avesse stipato di passeggeri un battello malandato che non era in grado di affrontare il mare, chi in pratica fosse il responsabile dell' omicidio di centinaia di persone, non è servita una perizia disposta dall' autorità giudiziaria né sono state necessarie rogatorie o intercettazioni.
libia cadaveri di migranti sulla spiaggia
A scovare i colpevoli ci ha pensato la gente del posto, indignata più di tanti nostri indignati speciali, i quali pontificano sui giornali a favore dell' immigrazione ma poi non muovono un dito e se lo muovono è solo per fare i maestrini dalla penna rossa.
La popolazione locale ha trovato i responsabili e li ha puniti senza tante chiacchiere. Il carcere è la riprovazione generale. Una foto, ognuno stringe tra le mani l' immagine che ritrae una delle giovani vittime, affissa ad ogni angolo della zona, così che si sappia bene di quale reato i tre si sono macchiati. Processi sommari, giustizia barbara che non garantisce alcuna tutela all' accusato? Può darsi, ma se guardo alla giustizia italiana, alla sua lentezza, alla sua incapacità di individuare i colpevoli e di punirli, alle sottigliezze del diritto romano, quasi quasi comincio a invidiare il diritto libico.
Negli ultimi anni sono numerosi gli scafisti che sono stati arrestati dopo sbarchi illegali o naufragi con molti morti. Le statistiche dicono che le nostre forze dell' ordine ne hanno individuati e messi a disposizione dell' autorità giudiziaria almeno 976, ma di questi signori solo il 10 per cento è dietro le sbarre, gli altri sono a piede libero. Accusati in attesa di giudizio, li definiscono. In realtà sono uccel di bosco e nessuno sa dove si trovino, per lo meno fino a che non capiterà un altro sbarco e un altro naufragio e ci sarà chi gli metterà il sale sulla coda.
migranti nel canale di sicilia 5
Tutto ciò non vuol dire che se ci riproveranno assaggeranno i rigori della cella. Neanche a pensarci. Perché, nonostante l' Italia abbia una delle legislazioni più severe in materia, nonostante gli scafisti siano puniti sulla carta con 12 anni di carcere e 15 mila euro di multa per ogni clandestino trasportato, nessuno paga nulla. A parole lo Stato fa la faccia feroce ai trafficanti di uomini, ma poi si dimentica di far loro scontare la pena. Da questo punto di vista la storia di un egiziano di 28 anni è esemplare. Honeim Tarak è stato arrestato sette volte in sette anni: per cinque è sbarcato a Lampedusa con il suo carico umano, una volta a Siracusa, un' altra a Pozzallo.
migranti nel canale di sicilia 4
L' ultima, dopo averlo pizzicato i carabinieri lo hanno rinchiuso nel carcere di Ragusa, ma il giovanotto non pare essersi preoccupato. Ai cronisti che lo intervistavano sull' ennesima tragedia del mare, Tarak ha risposto con strafottenza: «Non ho paura, uscirò presto». Il guaio è che ha ragione lui, il trafficante di uomini, colui che guadagna mettendo a rischio la pelle di donne e bambini.
Tarak sa che non gli succederà niente, perché i cavilli e le lentezze della nostra giustizia, le perizie, i ricorsi, i rinvii e le furbizie, lo lasceranno impunito, con la coscienza carica di vittime ma la fedina penale sgombra di condanne.
migranti nel canale di sicilia 3
Tarak continuerà a fare il suo sporco mestiere, traghettando disperati a bordo di bagnarole e pazienza se qualcuno starà male durante la traversata, pazienza se qualcuno non arriverà a destinazione.
In effetti, guardando le foto dei migranti affogati in mare e confrontandole con quella degli scafisti arrestati in Libia ed esposti alla pubblica gogna senza ricorsi in Cassazione o al Tribunale della Libertà, viene una gran voglia di giustizia sommaria.
Che forse, in questi casi, non è sommaria ma è giustizia e basta. I tanti che blaterano di apertura delle frontiere, di accoglienza indiscriminata, di traghetti della libertà che fanno la spola tra la Libia e l' Italia (e di cui Gad Lerner, il giornalista che non ne azzecca una, è un infaticabile sostenitore), su questo dovrebbero riflettere. Più che di aprire le frontiere forse è l' ora di rinchiudere dietro le sbarre gli scafisti e i mercanti di uomini. E più che di accoglienza indiscriminata è giunto il momento di discutere di come accogliere in fretta i criminali nelle patrie galere.
Mouhamud Elmi Muhidin - Scafista della strage di Lampedusa
maurizio.belpietro@liberoquotidiano.it
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