luigi di maio giuseppe conte matteo salvini

“IL DISEGNO POLITICO E’ AVERE UN GOVERNO TECNICO” - BELPIETRO ANNUSA IL “GOMBLOTTO” PER FREGARE SALVINI E DI MAIO: “IL PIANO SAREBBE QUELLO DI ACCETTARE LE DIMISSIONI DI GIUSEPPE CONTE, POI DI PRENDERE TEMPO CON UN ESECUTIVO TECNICO A CAUSA DELLE TURBOLENZE SUI MERCATI FINANZIARI. IN PRATICA IL GIOCHETTO SERVIREBBE A SCAVALLARE L'ESTATE, MA ANCHE L'INVERNO, IN ATTESA CHE QUALCHE INCHIESTA O QUALCHE SCOSSONE SGONFI IL PALLONE LEGHISTA E RIGONFI QUELLO DI ZINGARETTI”

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Maurizio Belpietro per “la Verità”

 

maurizio belpietro veronica gentili (2)

Le elezioni non sono più un tabù, soprattutto dopo il discorso di Giuseppe Conte. C' è stato un tempo in cui, pur di allungare una legislatura morente, giornali e istituzioni si dimostravano favorevoli all' accanimento terapeutico, accettando anche i governicchi. Ora no. All' improvviso, dopo 12 mesi di esecutivo gialloblù, sembra quasi che la grande stampa, ma soprattutto il Palazzo, non vedano l'ora di un ritorno al voto pur di levarsi dai piedi i pentaleghisti. E dire che far votare gli italiani, consegnando a loro la decisione di chi dovesse governare il Paese, in passato è sempre stato complicato.

 

scalfaro berlusconi

A ogni crisi dell'esecutivo, c'era infatti sempre qualche cosa da difendere che impediva di passare la parola agli italiani. Una volta la manovra, un'altra il semestre italiano alla guida della Ue, una terza il quadro internazionale. Fatto sta che quando nel passato è caduto Silvio Berlusconi, il voto è sempre apparso l'ultima eventualità da prendere in considerazione. Così, piuttosto che votare, Oscar Luigi Scalfaro ci diede Lamberto Dini, mentre Giorgio Napolitano ci regalò Mario Monti. Nella passata legislatura ci sono toccati Enrico Letta, Matteo Renzi e infine Paolo Gentiloni. Tutto ciò per dire come i giornaloni e i cosiddetti poteri forti le elezioni le hanno sempre considerate una iattura.

 

lamberto dini

Ora il vento è cambiato e da giorni si discute apertamente di voto anticipato, senza tirare in ballo l'irresponsabilità, che di solito è l'argomento messo in campo per tappare la bocca a chi reclama a gran voce il ritorno alle urne. No, adesso addirittura i veri responsabili paiono quelli che soffiano sul fuoco con l'intento di rompere l'alleanza fra grillini e leghisti. Intendiamoci, Luigi Di Maio e Matteo Salvini ci stanno mettendo del loro, più il primo del secondo.

 

Ogni giorno, infatti, ogni scusa è buona per attizzare l' incendio. Tuttavia, a prescindere da loro e dalle molte buone ragioni che potremmo ricordare per sostenere la necessità di tornare dagli italiani e sentire il loro parere circa il governo del Paese (scelta alla quale noi non ci siamo mai opposti, neanche in passato, ritenendo il voto il solo modo per risolvere le diatribe politiche), a noi pare che questa improvvisa voglia di elezioni (e anche la minaccia neppure tanto velata del presidente del Consiglio di restituire il mandato) nasconda una fregatura, ossia una gran voglia di restaurazione.

 

giuseppe conte e mattarella all'inaugurazione della nuova sede dell'intelligence 1

Ci spieghiamo subito. Fino a ieri le principali testate e i più importanti leader della sinistra spiegavano che non si può tirare il presidente della Repubblica per la giacchetta.

La Costituzione attribuisce a Sergio Mattarella il potere di sciogliere le Camere, ma non lo obbliga. Se il capo dello Stato riceve nelle sue mani le dimissioni del presidente del Consiglio, ha il potere - anzi il dovere secondo alcuni - di provare ad affidare ad altri l'incarico, per stabilire se non vi siano maggioranze alternative. È quel che successe con Silvio Berlusconi nel 1994.

OSCAR LUIGI SCALFARO E BERLUSCONI

 

Quando il Cavaliere consegnò la lettera d'addio ricevette da Scalfaro molte rassicurazioni al punto da far ritenere al leader di Forza Italia che si sarebbe votato nella primavera successiva. Invece, al posto delle elezioni arrivò l'ex direttore della Banca d'Italia, il quale si installò sulla poltrona di premier evitando che fosse Berlusconi a portare il Paese alle urne. A votare ci si andò un anno e mezzo dopo, giusto il tempo di consentire alla sinistra di risorgere e a Umberto Bossi di far dimenticare agli italiani di aver tolto la stampella a Silvio.

 

luigi di maio matteo salvini

Ecco, noi oggi abbiamo la sensazione che il disegno sia molto simile a quello di 20 anni fa e non sappiamo se ci lavori anche il premier. Non si vuole lasciare i pentaleghisti a Palazzo Chigi, perché i padroni del vapore reputano che possano fare troppi danni. Ma allo stesso tempo non si vuole neppure far votare gli elettori, perché si teme che Salvini faccia il pieno come e forse più che alle europee. Risultato, si vorrebbe che il governo cadesse, ma poi si auspica che la gestione del dopo non sia nelle mani del Capitano leghista, ma magari di qualcuno più moderato e malleabile.

LUIGI DI MAIO GIUSEPPE CONTE ALIAS MARK CALTAGIRONE MATTEO SALVINI BY OSHO

 

Ovvero, il piano sarebbe quello di accettare le dimissioni di Giuseppe Conte, ma poi di prendere tempo con un esecutivo tecnico (forse ancora a guida Conte) a causa delle turbolenze sui mercati finanziari. In pratica il giochetto servirebbe a scavallare l'estate, ma anche l' inverno, in attesa che qualche inchiesta o qualche scossone sgonfi il pallone leghista e rigonfi quello di Nicola Zingaretti.

 

Fantapolitica? Cattivi pensieri? Entrambe le cose sono possibili e forse auspicabili.

Tuttavia, come diceva Giulio Andreotti, a pensare male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca. Certo, anche a noi ogni tanto viene voglia di mandare a quel paese il governo e in particolare i 5 stelle che tengono bloccate decisioni che potrebbero rilanciare l'economia, come lo Sblocca cantieri, il taglio alle tasse e l'autonomia regionale.

nicola zingaretti

 

E però non vorremmo che tanta voglia di voto da parte di chi pensa che gli italiani non sappiano votare (perché le preferenze non vanno a sinistra) sia in realtà un modo per espropriare gli elettori di un loro diritto, mettendo a Palazzo Chigi l' ennesimo esecutore esterodiretto da Bruxelles. Quando Conte reclama per sé e per Tria il diritto di trattare con la Ue, escludendo la politica, cioè Salvini, un po' ce lo fa sospettare.