DAGOREPORT - LA MAGGIORANZA VIAGGIA COSÌ “COMPATTA” (MELONI DIXIT) CHE È FINITA SU UN BINARIO…
MATTEO RENZI A BERSAGLIO MOBILE
Maurizio Belpietro per “Libero Quotidiano”
Non so se qualcuno si sia preoccupato leggendo ieri le minacce che la minoranza del Pd agita contro il suo segretario, che nella fattispecie è anche il presidente del Consiglio. Nel caso si sia allarmato, si metta tranquillo: anche questa volta non succederà nulla, proprio come sul Jobs Act e su altre misure contestate. Infatti, nonostante evochino la possibilità di una fine anticipata della legislatura, nel caso in cui Renzi ponga la fiducia sulla legge elettorale, i ribelli alla fine non avranno il coraggio di andare fino in fondo, cioè di non votare e di far saltare il banco.
E i motivi della distanza tra ciò che annunciano e ciò che faranno non stanno nelle logiche di appartenenza alla ditta, come raccontano Pier Luigi Bersani e i suoi compagni. Più banalmente i dissidenti sanno che se mandassero a casa il governo, facendolo cadere con un voto contrario sull’Italicum, i primi a dover far ritorno all’ovile, ma stavolta per rimanervi definitivamente, sarebbero loro, le pecorelle rosse (che visto il comportamento sarebbe però meglio chiamare pecoroni).
La prospettiva di nuove elezioni da sempre atterrisce chi sta in Parlamento, perché sa ciò che lascia ma non sa se mai lo ritroverà. In questo caso però spaventa ancor di più. Tipi come Bersani, Bindi e altri vecchi arnesi già non godono di buona fama, ma se votassero contro il governo fino al punto di farlo cadere ci sarebbero file chilometriche di gente pronta a votare per rottamarli.
Non solo aumenterebbe la loro impopolarità, ma affossando l’Italicum dovrebbero correre per la rielezione con il Consultellum, ossia guadagnarsi ad una ad una le preferenze, cosa che ovviamente da un pezzo non sono abituati a fare, perché fino a ieri hanno goduto del tanto contestato Porcellum. E poi chi darebbe loro i soldi per pagarsi la campagna elettorale? Di certo non Renzi, che semmai li ripagherebbe togliendo loro anche l’ultimo euro. In pratica, sarebbe una strage.
E dunque, per sottrarsi al massacro, i nostri strilleranno ogni giorno di più, come polli spennati, ma poi pigolando si adegueranno al gioco del capo-pollaio. Peraltro, il presidente del Consiglio, pur dichiarando ai quattro venti che in caso di stop all’Italicum sarebbe pronto a salire al Colle, sa benissimo che niente di tutto ciò accadrà.
E non soltanto perché la minoranza del partito agita una pistola scarica, ma anche perché se i ribelli - tutti o in parte - avessero davvero intenzione di far seguire alle parole i fatti, il premier avrebbe già pronto il piano B. Un’operazione che è segreta solo per chi non voglia vederla, ma che in realtà è pronta da settimane, se non da mesi, ed è seguita direttamente dallo stesso Renzi.
In che cosa consiste questa uscita di sicurezza che garantirebbe al segretario del Pd di rimanere a Palazzo Chigi, anzi di restarvi senza altre noie da parte dei ribelli? Semplicemente il capo del governo si prepara a dar corso al Partito della Nazione, che poi altro non sarebbe che il partito unico di Renzi. In pratica, liberandosi dei dissidenti, il presidente del Consiglio imbarcherebbe (magari non subito, ma dopo il giusto periodo di quarantena in una formazione parallela) il gruppo dei verdiniani, recuperando a destra i voti persi a sinistra.
Come è noto, l’ex coordinatore di Forza Italia da tempo ha un piede fuori dal partito, soprattutto da quando Berlusconi ha sconfessato il patto del Nazareno. Recentemente con l’ex Cavaliere sono volate parole grosse e nella sede di San Lorenzo in Lucina la figura robusta del parlamentare toscano si vede sempre meno. Di Verdini poi sono noti i buoni uffici con Renzi, tanto che fu lui a tessere la tela dello strano rapporto che portò all’intesa sulle riforme.
Dunque, uno più uno ed ecco trovata la stampella destra del governo. Forse qualcuno penserà che i voti dell’uomo macchina di Forza Italia potrebbero non essere sufficienti nel caso fosse necessario rimpiazzare quelli dei ribelli. Ma fra fughe dal Movimento Cinque stelle e altre dall’ex Pdl e dal gruppo misto, la maggioranza potrebbe facilmente essere rimpolpata.
Nel qual caso saremmo tornati al punto di partenza, cioè con un grande partito centrista alleato con alcuni partiti assolutamente minori, tipo Ncd e Scelta civica. E all’opposizione ci sarebbe un partito di sinistra, i Cinque Stelle, la Lega e ciò che resta di Forza Italia. In questo caso Renzi potrebbe governare sereno per i prossimi dieci o forse quindici anni, confidando magari se non in un boom, almeno in qualche fuoco d’artificio economico. Lo scenario che si prepara è dunque la versione 2.0 della Dc, con una sola sostanziale differenza. Che il presidente del Consiglio non è né Andreotti né Fanfani. Ma - ahinoi - neppure Alcide De Gasperi.
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