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Carmelo Lopapa per “la Repubblica”
Così come stanno arrivando al traguardo, le riforme figlie del patto del Nazareno a Silvio Berlusconi non stanno più bene. Senza la condivisione del presidente della Repubblica (ormai andata), ma soprattutto senza una qualsiasi forma di riconoscimento concreto del suo ruolo, del suo contributo, del suo «sacrificio », come lo definiva ieri nel lungo vertice di Arcore col consigliere Giovanni Toti, con i capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani, con la portavoce Deborah Bergamini e con Maria Rosaria Rossi.
Non già Denis Verdini, ormai lontano, anche fisicamente, volato via all’estero per un paio di giorni dopo lo strappo. Ecco, da Palazzo Chigi non è arrivato nessun aiuto per tirarlo fuori dall’angolo nel quale i guai giudiziari lo hanno cacciato, è una delle accuse più cocenti.
Matura così, in quelle quasi quattro ore nel fortino presidiato dai “falchi” — o meglio dal «cerchio rosa», come qualcuno adesso lo bolla dentro Forza Italia — la video-intervista di una manciata di minuti sparata alla tv ammiraglia di casa Mediaset nell’edizione di punta delle 20. Il leader sembra leggere un messaggio dei suoi, stavolta usa toni perentori, ultimativi, ha tutta l’aria di minacciare rottura.
Eppure non è così, non del tutto, a dispetto dell’apparenza. Nonostante da martedì alla Camera si faccia sul serio, perché sulla riforma costituzionale che prevede tra l’altro la cancellazione o quasi del Senato ripartono le votazioni ed entro sabato è previsto il voto finale. E Forza Italia che farà?
Quando si chiede a chi ha partecipato al lungo vertice di Villa San Martino se il tutto si tradurrà a questo punto in un voto finale negativo in aula, la posizione si fa più sfumata, meno rigida. «Presenteremo dei sub emendamenti, Brunetta ne ha già depositati quasi un migliaio, se la maggioranza accetterà di confrontarsi, bene, altrimenti vorrà dire che non ci saranno margini», è la risposta dei dirigenti più vicini in questo momento al leader.
Mercoledì intanto sarà riunita l’assemblea dei gruppi parlamentari e Berlusconi in persona porterà il documento di rottura fatto approvare la scorsa settimana dall’ufficio di presidenza ristretto. Quello che già dava l’addio al patto del Nazareno. Difficile, molto difficile fare retromarcia, anche perché le repliche ironiche della segreteria renziana alla sortita tv di ieri sera non lasciano margini a cambi di rotta («La famiglia stia vicina al Cavaliere », affonda Ernesto Carbone tra gli altri).
Ma semmai il dialogo dovesse ripartire — sottolinea uno dei commensali di ieri ad Arcore — «non potrà certo avvenire con gli interlocutori di prima, da Verdini a Letta». Sono altri ambasciatori che adesso Palazzo Chigi dovrebbe prendere in considerazione, è il messaggio, da Toti a Romani, da Bergamini a Brunetta e la Rossi.
raffaele fitto silvio berlusconi
È il cuore del problema, il vero motivo dell’exploit maturato ieri nell’arco di un pomeriggio, secondo la lettura che danno invece gli uomini più vicini al “defenestrato” Verdini: «Sono loro, Toti e le donne vicine al capo, la Rossi e la Bergamini in testa, gli artefici di questo disastro, tutto costruito ad arte solo per scalzare Denis e prenderne il posto». Semmai una trattativa si potrà mai riaprire davvero, a questo punto, con Matteo Renzi.
La reazione di Berlusconi è molto impulsiva. Spiegano i suoi che il blitz del governo su Mediaset in commissione, giovedì, non gli sia piaciuto affatto. «Sono deluso, Renzi usa metodi che non mi piacciono, si conferma un arrogante, altro che patto..» ripeteva ancora ieri l’ex premier. Davanti a lui, appunto, schierato lo stato maggiore intenzionato a bruciare tutti i ponti che Verdini ha costruito nell’ultimo anno con Renzi e il suo governo.
Molto ha influito, in ultimo, la lettura dei giornali di questi due giorni, che accreditavano il senatore toscano ancora attivo, Palazzo Chigi disposto a parlare solo con lui, i tentativi di Toti e Romani falliti, il canale delle riforme ancora aperto sotto traccia a dispetto di Berlusconi. «Presidente, così vieni delegittimato, non possiamo accreditare questa lettura», hanno ripetuto in coro al leader forzista i dirigenti più motivati.
Anche perché, hanno insistito quasi tutti i presenti al pranzovertice, «le riforme sono ormai al traguardo, il Pd se le approva da solo anche senza di noi, piuttosto bisogna neutralizzare Fitto da una parte e Salvini dall’altro che ci accusano di inciuciare col governo ».
Argomenti che avrebbero convinto alla fine Berlusconi, non fosse altro perché gli ultimi report registrano Fi ancora in caduta tra il 12 e il 14 per cento. E le elezioni regionali sono alle porte. Da qui, l’esigenza del capo di ribadire la linea della rottura («Renzi non ha rispettato i patti »), mettendoci la faccia, stavolta davanti a una telecamera, fino all’accusa mai osata: «Deriva autoritaria».
Chi conosce bene le cose di Arcore invita però alla prudenza. Ad attendere per esempio cosa accadrà dopo il consueto pranzo del lunedì con i vertici delle aziende. Perché posizioni come quella di ieri sera di certo non hanno fatto fare salti di gioia a Fedele Confalonieri e Ennio Doris, già piuttosto preoccupati dopo la presentazione della norma penalizzante su Mediaset e Rai dell’altro giorno. E cosa accadrà nei prossimi giorni? Giovedì è atteso il voto in commissione sulla prescrizione, il 20 febbraio in Consiglio dei ministri l’esame della delega fiscale con la discussa norma sullo sconto per la frode sotto il 3 per cento dell’imponibile.
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L’uscita di ieri, poi, non muta la posizione di Raffaele Fitto e dei suoi. L’ex governatore pugliese con i suoi «ricostruttori» va avanti per la sua strada, ormai. Il 21 da Roma parte per il tour che lo porterà in tutta Italia. Partito nel partito. «Questa nostra azione — ripeteva ancora ieri — è una grande opportunità per Forza Italia e anche per Silvio Berlusconi. Altro che restare imprigionati in mesi di sterili liti condominiali ». Il leader forzista giura nell’intervista di voler ricostruire l’unità del centrodestra. Ma Matteo Salvini ha già voltato le spalle. E ieri Gaetano Quagliariello è stato altrettanto chiaro: «Grande rispetto» ma ora «bisogna guardare avanti».
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