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Vincenzo Nigro per “la Repubblica”
Angela Merkel arriva nella notte, direttamente da Mosca. Poche ore dopo è già sul podio della conferenza di Monaco. Il volto è stanco, la parole un soffio gelido di sfiducia. «Dopo i negoziati del Cremlino devo dirvi che io e il presidente Hollande non siamo sicuri di un successo. Ma dobbiamo continuare, e insisteremo, se non altro lo dobbiamo al popolo dell’Ucraina».
I toni di Hollande sono ancora più drammatici: «Se falliscono i negoziati in Ucraina c’è solo la guerra, ancora più dura». Oggi ci sarà una nuova telefonata a 4 (Merkel, Hollande Putin e Poroshenko), poi la cancelliera volerà a Washington per un incontro già previsto con Barack Obama. E se oggi l’Europa franco-tedesca non tirerà fuori un coniglio dal cilindro, se non avrà da Putin quello che fino ad ora l’uomo del Cremlino ha negato (ovvero un impegno serio e concreto al cessate-il-fuoco), è prevedibile che per la Merkel l’incontro di domani alla Casa Bianca sarà parecchio delicato.
Perché ieri, qui a Monaco, sulla guerra in Ucraina per la prima volta è emerso con forza un nuovo problema: la divisione profonda che separa Europa e America. Lo aveva detto la sua ministra della Difesa Ursula von der Leyen, lo ha confermato il capo degli Esteri Steinmaier, e la cancelliera lo ha ripetuto dalle 10 di mattina: niente armi all’Ucraina per difendersi dall’invasione russa.
«Io capisco la richiesta, ma non credo che altre armi all’Ucraina permetterebbero di risolvere la questione». Pochi minuti, e il sistema americano risponde all’unisono. Congresso, Casa Bianca, repubblicani, democratici e militari iniziano a mettere in dubbio questa scelta della “realpolitik” tedesca ed europea, «non armiamoli tanto non serve».
A Monaco parla Joe Biden, il vice presidente americano che è un grande esperto di politica estera, di Russia e Ucraina («sono stato a Kiev 3 volte solo l’anno scorso»): «Il presidente Putin ci ha promesso la pace molte volte e invece ci ha portato più carri armati, più soldati, ancora armi. Considerata la recente storia della Russia, abbiamo bisogno di giudicare i suoi atti non le sue parole. Non parlateci, agite. L’Ucraina va difesa, e noi dobbiamo farlo».
I congressisti e non solo i repubblicani, quelli che parlano apertamente di armi a Kiev, sono i più aggressivi. Con la Merkel il repubblicano Lyndsey Graham è spietato: «Puoi andare a Mosca quante volte vuoi, quello non cambierà idea: amici europei, così non funziona, dobbiamo capire che abbiamo di fronte un bugiardo che ci minaccia pericolosamente». John McCain, il vecchio senatore che sfidò il giovane Obama, lo dice semplice: «Ormai le coperte non servono più: gli ucraini vengono massacrati e contro i carri armati le coperte non servono».
La pressione Usa sugli alleati europei oltre ad essere fortissima inizia a far ragionare qualcuno in maniera preoccupata. Perfino Paolo Gentiloni, fermissimo nel sostenere che non si possono passare armi a Kiev, dice che però adesso è la Russia a doversi muovere. «Ho incontrato il mio collega Lavrov, non abbiamo discusso dei dettagli, ma un messaggio lo abbiamo passato: a questo punto non c’è più tempo, devono decidere.
Ed è Mosca che deve decidere». Soltanto lui, Putin. Che da Mosca dice: «Non vogliamo combattere con nessuno, intendiamo collaborare con tutti».
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