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"SONO UN COMPAGNO COME VOI MA RIFORMISTA" - QUELLA VOLTA CHE BERLUSCONI ANDO' ALLA FESTA DELL'UNITA' AD ARCORE – E D’ALEMA IN VISITA A MEDIASET: “QUESTA AZIENDA È UN PATRIMONIO PER L’ITALIA” - SONO LONTANI QUEI TEMPI: MELONI HA INVITATO SCHLEIN A ATREJU MA SI E’ BECCATA IL DUE DI PICCHE DA ELLY – CECCARELLI: “EPPURE AD ATREJU C’È SEMPRE STATO POSTO PER TUTTI, PLATINETTE ED ENRICO LETTA, LA GARA DI POKER CON PUPO - VELTRONI E LA DOMANDA TRABOCCHETTO SULLA INESISTENTE BORGATA PINARELLI - LA “KAZIRATA” A GIANFRANCO FINI - VIDEO

 

Roberto Gressi per il “Corriere della Sera” - Estratti

 

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gabibbo d'alema

Ci vado o non ci vado alla festa di Atreju di Giorgia Meloni? No che non ci va Elly Schlein, che ha preso tempo per rispondere solo per finta, visto che non ha intenzione di cinguettare con la premier, né, tantomeno, di uscirne burattino, o ciuchino, o vassallo, anche se il rischio di finire avvelenata è comunque inesistente. Soprattutto non vuole partecipare al gioco della legittimazione del nemico, che la parola avversario è buona solo per i tempi di pace, e con le elezioni europee alle porte proprio non se ne parla.

Che tanto, per riconoscersi figli di un unico Paese, ci sarà tempo, magari un giorno, quando forse i rapporti di forza si saranno invertiti.

 

Non che non si possa andarci lo stesso, quando pare che convenga, alla corte del nemico. Massimo D’Alema ci andò a Mediaset, proprio nella sede e con occhio padronale, a dire che: «Non sono qui per rendere omaggio a Silvio Berlusconi, ma a un’azienda che è un patrimonio per l’Italia». E proprio Berlusconi si autoinvitò a sorpresa sotto casa, alla festa dell’Unità in quel di Arcore, per fare il mattatore, due ore da affabulatore, fino a bamboleggiare: «Vedete, miei cari, sono un compagno anch’io, come voi, però riformista».

 

BERTINOTTI FINI

E d’altra parte aveva già detto di essere pronto ad iscriversi al Pd, dopo la relazione di Piero Fassino a un congresso. Ma pure Giorgia Meloni, già premier, c’era andata all’assemblea della Cgil a rivendicare il confronto, perché «la ricchezza la creano le aziende con i loro lavoratori». Anche se oggi, dopo la precettazione, sarebbe meno facile. Addirittura, Indro Montanelli salì sul palco di una festa dell’Unità: «Vi prego, basta applausi, ve lo chiedo per legittima difesa».

 

La festa di Atreju è l’invenzione geniale di una Giorgia Meloni poco più che ragazzina, debuttò 25 anni fa, nel 1998. Atreju è un bambino Pelleverde nel libro e nel film La storia infinita, e ha occhi scuri che vedono fino all’orizzonte.

Politica e goliardia. Memorabile la «Kazirata» a Gianfranco Fini, quando i giovani di Atreju chiesero all’allora ministro degli Esteri di sostenere la causa dell’inesistente e oppresso popolo kaziro. O quando Berlusconi fu costretto ad inventare per condannare vita e opere di un immaginario dittatore comunista, o quando a La Russa venne chiesto di spiegare la presenza di militari italiani a Paros, o a Veltroni di parlare della borgata Pinarelli.

 

Tutto questo prima di finire lei stessa, Giorgia Meloni, infilzata dai due buontemponi russi. Poi sempre meno scherzi e più politica, fino a contendere a Bruno Vespa lo scettro di «Terza Camera» prima dell’elezione del presidente della Repubblica.

 

landini meloni

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DA BERTINOTTI A LETTA QUELL’ATTRAZIONE FATALE PER LA SAGRA DEL SOVRANISMO

Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” - Estratti

 

Eppure ad Atreju c’è sempre stato posto per tutti: Platinette ed Enrico Letta, la gara di poker con Pupo e il presepe vivente dagli Abruzzi, il cooking show del divo chef e il cane lupo cecoslovacco, accreditata mascotte della kermesse reperibile nell’albo d’oro digitale dei Fratelli d’Italia con il mitologico nome di Thor, divinità germanica fornita di terrificante martellone.

 

d'alema montanelli

In questo senso Schlein si è sottratta a un astuto e vantaggioso intrattenimento di cui l’attuale premier è da sempre abile impresaria e stratega. Il punto di partenza e un po’ anche la schermatura culturale di Atreju è l’innesto del fantasy pop sugli incerti orizzonti della destra un tempo orfana, oggi addirittura dimentica del nostalgismo neofascista. Come tante altre cose di quel mondo, se l’era inventata alla fine del secolo scorso Fabio Rampelli, ma il prima possibile l’ha fatta sua Giorgia Meloni, poco più che adolescente, che certamente l’ha cresciuta sagomandola a sua immagine e somiglianza fino a trasformarla in palestra, piattaforma, passerella, laboratorio tricolore, salotto televisivo e infine sagra piaciona del sovranismo.

 

Invano qualche anno fa Roberto Saviano ha cercato di togliere ad Atreju la patina destrorsa facendo presente che il ragazzo guerriero del cine film d’importazione “La Storia Infinita” che dà il nome alla festa risulterebbe “cresciuto da tutti” e quindi senza il papà, la mamma e la santa famiglia naturale che tanto sta a cuore ai patrioti. In realtà il Mito è appunto un mito, ma soprattutto l’odierna politica privilegia manifestazioni di natura estesa, sincretica e polivalente che, tradotto dal sociologese, sta a significare il minestrone, di tutto un po’, basta che finisca sui giornali, in tv, sui social, eccetera.

 

berlusconi veltroni

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Per quattro anni di seguito Renzi ha rifiutato l’invito per poi cedere nel 2021. Bertinotti e Letta hanno fatto meno storie, Conte è venuto due volte, una con il figlio Nicolò. Marco Minniti ha acceso la platea raccontando della scrivania del duce e solleticandola con il motto scioglilingua di Italo Balbo: «Chi vola vale e chi vale ma non vola è un vile». Da sindaco ecumenico, e quindi con rassegnazione, Walter Veltroni si è sottoposto al rito goliardico della domanda trabocchetto rispondendo sulle cattive condizioni della borgata Pinarelli, che non esiste.

 

Nel 2011 fece scalpore l’uniforme dei giovani volontari con badge tricolore e maglietta nera, però furbamente attenuata da scritta gandhiana in lettere d’oro: “Sii il cambiamento che vuoi vedere”.

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Per diversi anni il grande mattatore di Atreju è stato il Cavaliere che su questo palco, montato all’ombra del Colosseo, ha fatto il numero della “zanzara comunista”, con volée e finto schiaffone, e pietosamente ha spiegato il baciamano a Gheddafi: «L’ho fatto per educazione, lì si usa così».

 

Nel 2017 risuonò il gioioso riconoscimento di Toti: «Sono andato a fare la pipì e ho trovato il bagno pulito come a casa mia». Nel 2018, all’Isola Tiberina, venne Steve Bannon a parlare dei fratelli Gracchi e l’anno seguente Orban. Poi i titoli, un tempo risoluti e marinettiani - “È tempo di patrioti”, “Sfida alle stelle” si sono un po’ smosciati e l’ultimo Atreju era dedicato al “Natale dei conservatori”. Parabola abbastanza scontata. C’erano pure orsi bianchi animati e danzanti, al collo avevano un fazzoletto rosso, ma nessuno ci ha fatto caso.

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