
DAGOREPORT – IL CAMALEONTISMO DELLA DUCETTA FUNZIONA IN CASA MA NON PAGA QUANDO METTE I BOCCOLI…
Ugo Magri per “la Stampa”
L’ansia di perdere la poltrona si trasforma in panico ogni qualvolta Renzi parla di legge elettorale. Molti onorevoli tremano: «Vuole approvare l’Italicum perché progetta di tornare alle urne...». Il premier nega il proposito ma fino a un certo punto. Astutamente gli piace tenere sulla corda il Parlamento, far lievitare l’idea che lui si prepari a licenziare tutti quanti gli fossero di ostacolo. Guarda caso, accelera sull’Italicum proprio alla vigilia dei passaggi più complicati (legge di stabilità, Jobs Act).
La corsa dell’Italicum, però, non sarà in discesa. Anzi rischia di somigliare a quella del gambero. C’è l’ostacolo del calendario: per rendere efficace la minaccia, bisogna che la legge elettorale arrivi in tempo per votare nel 2015, non chissà quando. Ciò implica che l’Italicum andrà approvata al più tardi entro marzo.
Ora è al Senato, in seconda lettura, e la Commissione affari costituzionali deve ancora infilarlo all’ordine dei lavori. Prima c’è da smaltire la riforma della PA. Un paio di settimane in Commissione l’Italicum le passerà di certo. E per approdare in aula dovrà fare slalom tra le misure economiche. Mettendocela tutta, Palazzo Madama potrebbe dare via libera entro fine anno. A quel punto la legge tornerà a Montecitorio.
Un altro mesetto potrebbe bastare. Ma l’Italicum presuppone che venga abolito il Senato (campa cavallo). In alternativa, Renzi dovrebbe e fare a tempi di record una leggina per applicare l’Italicum pure al Senato, tenendoselo sul gobbo...
A quel punto però scoppierebbe, incontenibile, la rivolta dei «peones» sul punto di andare a casa. Farebbero le barricate e troverebbero un alleato potente nel Colle. Tra decreto di scioglimento e dimissioni, Napolitano firmerebbe più facilmente le seconde, alle quali del resto il Presidente già pensa (e non è mistero per nessuno) per i primi mesi dell’anno nuovo.
La minoranza Pd prepara la resistenza. D’Alema è stato visto confabulare con Minzolini, tra i berlusconiani il più ostile all’Italicum. Dopodiché «Baffino» deve aver chiacchierato pure con altri perché alle orecchie di Keyser Soze (su «Panorama») sono arrivate certe confidenze poco rassicuranti per Renzi sull’Italicum. Se il premier vorrà piegare la «ditta» Bersani-D’Alema, bisognerà che Berlusconi si presti. Ma l’ultima versione della riforma, con l’ipotesi di premio al partito che arriva primo, non piace al Cav.
MASSIMO D ALEMA FOTO ANDREA ARRIGA
Ieri è tornato ad affacciarsi sul «Tg5» per mostrare che Forza Italia non è in disarmo (nei sondaggi langue tra il 12 e il 14 per cento). Con questi numeri, Berlusconi arriverebbe terzo e magari quarto dietro alla Lega. Per cui votare è l’ultimo dei suoi desideri. E se proprio dovesse, preferirebbe farlo con la legge attuale (il «Consultellum») che è tutta proporzionale, difficilmente Renzi conquisterebbe il potere da solo, dopo il voto sarebbe forzato ad allearsi con lui...
Berlusconi narra ai suoi di aver buttato lì con Renzi: torniamo subito alle urne, però col Consultellum: «Mi ha risposto che non se ne parla proprio», è il sospiro del Cav. Litigare con Matteo non vuole e nemmeno se lo può permettere perché ne andrebbero di mezzo le sue tivù. Al tempo stesso Renzi non può chiedergli di facilitare una legge da cui Forza Italia verrebbe asfaltata. Dunque sull’Italicum Silvio cercherà di svicolare. Farà leva sulle normali inefficienze del processo legislativo. Risponderà a Renzi, quando si rivedranno: «Procediamo, ma di comune accordo». E temporeggerà fino a quando le elezioni nel 2015 saranno una chimera.
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