bernard henri levy

“MELENCHON? TUTTI I TRATTI CHE LA MIA GENERAZIONE HA DENUNCIATO NELL’ESTREMA DESTRA LI RITROVO ADESSO NELL’ESTREMA SINISTRA FRANCESE, ITALIANA, SPAGNOLA, PER ESEMPIO L’ANTISEMITISMO” – L’ INTELLETTUALE FRANCESE BERNARD-HENRI LÉVY CRITICA ANCHE MACRON “PERFETTO” SULL’UCRAINA, E “SCONFORTANTE SU ISRAELE”: “RICONOSCERE ADESSO LO STATO DI PALESTINA NON AVEVA ALCUN SENSO” – "CESARE BATTISTI? NON L’HO DIFESO, CRITICAVO LA CONDANNA IN CONTUMACIA” - "SARKOZY IN CELLA? INGIUSTO” – NETANYAHU E IL PACEMAKER - “HO FATTO MOLTI ERRORI NELLA VITA. NON POLITICI, PERCHÉ...” – IL LIBRO

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Stefano Montefiori per corriere.it – Estratti

 

In un ristorante poco lontano dagli Champs Élysées il grande intellettuale francese Bernard-Henri Lévy parla del libro «Insonnia» (La Nave di Teseo) che esce ora in Italia, e di sé. A 76 anni, sempre in prima linea, BHL ha molto da raccontare. 

 

L’insonnia come pretesto per raccontarsi? 

«Credo che i lettori siano stati sopresi perché ho la reputazione di uno che non parla di sé, e invece mi sono messo a raccontare la mia vita. Insonnia è stato preso come una specie di abbozzo delle mie memorie, che forse non scriverò mai». 

bernard henri levy libro cover

 

(...) Ho fatto molti errori nella vita. Non politici, perché sarò presuntuoso ma non mi pento di nessuna mia posizione politica, sento di non avere niente di cui arrossire e, per un intellettuale della mia età, non è frequente». 

 

Allora errori personali? 

«Errori su di me, sulla mia vita. Tanto credo di essere lucido quando do un consiglio a un amico, o a un Capo di Stato, quanto sono pessimo quando si tratta di me. Perché in quel caso la passione vince sulla ragione». 

 

(…) I suoi reportage più accorati sono sulle guerre dimenticate: Sudan, Sri Lanka, Burundi… 

«All’inizio degli anni Duemila Jean-Marie Colombani e Edwy Plenel, alla guida di Le Monde, mi chiesero di scrivere per loro, e io risposi “a tre condizioni: su guerre che durano da almeno 20 anni, che abbiano fatto centinaia di migliaia di morti, e che voi non ne abbiate mai parlato". Plenel mi disse “impossibile che Le Monde non se ne sia mai occupato”, ma il giorno dopo gli feci la lista. Passai un anno a coprire quelle guerre, quei reportage vennero pubblicati in Italia dal Corriere, su Sette». 

 

Dalle zone di guerra oltre a scrivere reportage lei realizza documentari, per esempio in Ucraina, dove entra nell’inquadratura. C’è chi per questo la accusa di protagonismo, che cosa risponde? 

bernard henri levy

«Che faccio del situazionismo applicato, e poi che è una questione di onestà. Una delle cose che mi disturbano di più, nei documentari e talvolta nel giornalismo, è la pretesa di obiettività. Io non ci credo, all’obiettività. Sono io a parlare, questa è la mia visione delle cose. Sono qui, e me ne prendo la responsabilità facendomi riprendere dall’obiettivo. Altrimenti è una truffa. Non è narcisismo. Semplicemente, se sono sul fronte, a Bakhmut o a Pokrovsk, e la videocamera mi prende quando la bomba cade a qualche decina di metri, l’immagine è quel che è, non c’è esibizione». 

 

(...)

A proposito dei genitori, la figura di suo padre arriva verso la fine del libro ed è eccezionale. Toglie il saluto al fratello, suo zio Armand, perché durante un pranzo di famiglia osa dire che “i veri uomini fanno la doccia, non il bagno”. Che uomo era suo padre? 

«Mio padre era un personaggio magnifico, e anche eroico, in gioventù: si è arruolato nelle brigate internazionali in Spagna, poi ha rifiutato Pétain e andò volontario nell’armata d’Africa con i francesi liberi di De Gaulle, decorato per la battaglia di Monte Cassino». 

 

Certo, severo con suo zio. 

«Sì, mio padre era anche un uomo irascibile, suscettibile. Mi ha molto amato, e io l’ho ricambiato. Con entrambi i miei genitori, del resto, è stato un amore assolutamente reciproco, il che è raro». 

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Cita con grande affetto anche sua nonna, analfabeta. 

«Questi sono i miracoli della cultura e della scuola repubblicana. In due passaggi, si va dall’estrema umiltà dei miei nonni incapaci di leggere e scrivere a me che sono un intellettuale.

 

Ma il vero salto è quello tra i miei nonni e i miei genitori. Mio padre già è stato un grande industriale, mia madre era un miracolo di intelligenza, cultura, cinefilia, amore della letteratura. Ma mio nonno era un pastore, che portava il gregge dall’Algeria al Marocco spagnolo e ritorno e moglie, mia nonna, ha imparato solo alla fine della sua vita a scrivere qualche parola. Mi spediva dei fiori secchi, dei quadrifogli, sulla busta scriveva solo “Bernard” e “Paris”, e mia zia aggiungeva il resto». 

 

Veniamo all’Italia. Nel 1977 è a Bologna, alla manifestazione della sinistra extra-parlamentare, alla quale lei, uomo a sua volta di sinistra, rivolge uno sguardo per lo meno perplesso. Come i seguaci di Mélenchon adesso? 

«Trovo che il melenchonismo sia ancora peggio. L’estrema sinistra di oggi, il cui programma si riassume nel brandire la bandiera palestinese e talvolta persino quella di Hamas, è ancora più superficiale dell’estrema sinistra dell’epoca, che era anche pericolosa, certo. Tutti i tratti che la mia generazione ha denunciato nell’estrema destra li ritrovo adesso nell’estrema sinistra francese, italiana, spagnola, per esempio l’antisemitismo venuto allo scoperto, che è una cosa terribile». 

 

Sul Medio Oriente lei critica il suo quasi vicino di casa Emmanuel Macron, fratello di insonnia. Lo definisce “perfetto” sull’Ucraina, e “sconfortante su Israele”

bernard henri levy e areille bombasle sul red carpet di cannes 2025 foto lapresse

«Perché anche lui prigioniero di preconcetti. Riconoscere adesso lo Stato di Palestina non aveva alcun senso. Quel che era giusto è quel che ha appena fatto Donald Trump. È bizzarro, ma è così: fermare i bombardamenti a Gaza e fare rientrare gli ostaggi in Israele. Non annunciare uno Stato di Palestina che oggi sarebbe uno Stato di Hamas. Il giorno che Hamas sarà battuto e l’Autorità palestinese riformata, allora ci vorrà uno Stato palestinese, è logico. Non adesso». 

 

 

In Italia le sono state rimproverate due prese di posizione, quella sul caso Battisti e quella sulla Libia. 

«Non ho difeso Battisti ma la necessità che fosse portato davanti ai giudici, criticavo la condanna in contumacia». 

E sulla Libia, oggi chiederebbe ancora l’intervento contro Gheddafi? 

«Certo, rifarei la stessa cosa. Nel febbraio 2011 c’era un massacro in corso, la repressione sui ribelli di Bengasi. L’Occidente era davanti a un bivio: dire “guardate che la democrazia va bene per noi ma non fa per voi”, o almeno provare a fermare il massacro. Barack Obama poi se ne è pentito, ma ha sbagliato». 

 

EMMANUEL MACRON E BERNARD HENRI LEVY

Seguendo i suoi consigli l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy fu in prima linea nell’intervento in Libia. Che cosa prova adesso a vederlo sulla soglia del carcere? 

«Lo trovo ingiusto. Il tribunale ha assolto Sarkozy dall’accusa di corruzione, ma lo ha condannato per un vago delitto di associazione a delinquere. La democrazia è una doppia sovranità, la sovranità del popolo e la sovranità del diritto. Quando il diritto si sbaglia, si può cambiare la legge». 

 

In "Insonnia” lei evoca i suoi ideali ma anche, en passant, le sue idiosincrasie: non usa ombrelli, pantofole, orologi, scarpe con i lacci perché non ha mai imparato ad allacciarsele… 

«Tutto ciò che mi rende schiavo mi fa impazzire, e gli oggetti mi rendono schiavo. Non mi piace quel che facilita troppo la vita, non ho mai sopportato che un orologio mi ricordasse gli appuntamenti, anche prima di avere uno smartphone». 

 

(…)

bernard henri levy

Per questo è andato su tutte le furie durante il Covid. Lei che certo non è un no vax, lei che ha il culto delle medicine e dei sonniferi, lei che non ha un medico ma tre, scrisse un libro contro il lockdown. 

«Ero stupefatto e furibondo contro quella specie di igienismo generalizzato. La rottura dei legami sociali, l’abbandono dei vecchi, il rischio di fare impazzire i bambini, le scuole chiuse, i malati lasciati a sé stessi, i funerali proibiti… L’inumazione, lo indica la radice della parola, è il principio dell’umanità. E poi il non potere stringersi la mano mi faceva impazzire, stringersi la mano è un gesto fraterno, darsi di gomiti è aggressivo. L’umanità ha preso allora una brutta piega». 

 

Accanto a lei c’è sempre l’amata A., Arielle Dombasle, che quando vi siete incontrati finse di avere una sorella gemella. 

«Era il suo modo per verificare che tipo fossi, se le sarei stato fedele o no. Interpretava i due ruoli, sé stessa e la sorella gemella che cercava di indurmi in tentazione. Ma ho superato il test, non ho ceduto alla finta gemella, e A. l’ha vista come una specie di prova definitiva che amavo solo lei». 

Perché vi date del voi? 

«Darsi abitualmente del voi serve a potersi dare talvolta del tu». 

Non possiamo non parlare delle sue celebri ed eterne camicie bianche. 

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«Se mi avessero detto, quando sono apparso per la prima volta in televisione, che cinquant’anni dopo sarebbe stato ancora un tema… Quella sera di mezzo secolo fa ho pensato di vestirmi nel modo più semplice e banale, una camicia bianca e una giacca nera, e poi ho continuato a vestirmi così, per non pensarci più, per non dovere scegliere i vestiti ogni giorno. Però una volta da Apostrophes di Bernard Pivot sono andato con una maglietta scura sotto la giacca, e il giorno dopo i giornali hanno scritto comunque “Bhl con la sua solita camicia bianca…" E’ assurdo. Ci sono altri rimproveri da muovermi, eppure questo rimane». 

 

È preoccupato per lo stato della Francia oggi? 

«Sì. Perché la politica sta scomparendo. È un’arte nobile, che presuppone il confronto tra visioni del mondo. Oggi non c’è più niente di questo, si litiga solo per le poltrone, non c’è alcuna ambizione e prospettiva politica. Ma noi francesi non siamo i soli, tutto l’Occidente è colpito da questa stanchezza democratica». 

 

Macron fa bene a non dimettersi? 

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«Certamente. La democrazia non è la legge dei sondaggi, dei capricci. Una repubblica ha dei ritmi, e il presidente è eletto per cinque anni, che diventi impopolare o meno. Due anni prima di venire rieletto nel 1988, François Mitterrand era ai livelli di gradimento di Macron, eppure riconquistò l’Eliseo. La politica è il coraggio della pazienza, non questa agitazione permanente». 

 

 

Perché l’ha colpita il pacemaker di Netanyahu? 

«Perché è stata una scena incredibile. Sono nel suo ufficio di primo ministro a Gerusalemme, mi dice quel che sapevo già dai giornali, che gli hanno impiantato un pacemaker e mi chiede se ne ho uno anch’io. Non ne ho bisogno, gli rispondo, ma lui mi dice che tutti dovrebbero avere un pacemaker, per sicurezza, e mi parla del suo modello di punta, apice della tecnologia israeliana. E siccome mi vede scettico, finisce per pronunciare questa frase che trovo terribile: “Lei si sbaglia, il mio pacemaker è talmente straordinario che il mio cuore continuerà a battere anche nella tomba, dopo che sarò morto”. È un’idea raggelante, e dice molto del personaggio». 

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Che cosa spera per Israele e Gaza? 

«Nell’istante in cui ci parliamo, spero che le spoglie degli ostaggi siano restituite. Le persone non capiscono perché Israele tenga tanto al ritorno dei resti, ma è il principio della civiltà.

 

Antigone si ribella al tiranno Creonte che vuole lasciare Polinice senza sepoltura, abbandonato agli avvoltoi e agli sciacalli, perché sarebbe il trionfo della barbarie. Poi spero che la guerra si fermi davvero, e che i palestinesi possano liberarsi da questa tenaglia della morte esercitata da Hamas. Ho fatto tanti reportage di guerra, ma amo la pace. La guerra senza amarla, diceva André Malraux, e la pace per tutti».

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