DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Bersani dice che lo fanno rabbrividire i «cantori» di Renzi. «Non spiegano la legge elettorale, non mettono in evidenza cosa significa per la democrazia e poi scrivono: “Dell’Italicum agli italiani non frega un cavolo, interessa solo a Bersani e ad altri 4 gatti”. Una situazione paradossale». Invece, continua l’ex segretario, «ci accorgeremo dei danni di questa norma più avanti perché le questioni democratiche non sono noccioline, come ci vuole far credere qualcuno».
Sulle scale di Montecitorio, Bersani incrocia un paio di volte Renato Brunetta, alleato estemporaneo nella battaglia contro l’Italicum. Il capogruppo di Forza Italia gli sorride, lo blandisce: «Professor Bersani, vieni qui». Lui si limita a una veloce stretta di mano e corre via. Ha deciso che la spaccatura ormai è inevitabile ma buttarsi tra le braccia di Brunetta è troppo.
BERSANI LETTA DALEMA FRANCESCHINI
Nel pomeriggio, dopo l’annuncio della fiducia, rompe gli indugi e conclude l’era dei «La fiducia non la voto — scrive su Facebook —. Si sta creando un precedente davvero serio, di cui andrebbe valutata la portata». È uno strappo forte, di cui le conseguenze sono ancora tutta da verificare. La scissione non è più una parola da respingere a priori. Bersani non la pronuncia mai eppure confessa amaramente: «La Ditta non più quella che ho costruito io».
L’ex segretario non riunisce correnti, non organizza truppe, non conta i voti. «Ognuno per la sua strada. Io non ho chiamato nessuno, non ho forzato nessuno. Non ci sono patti di fedeltà, fedelissimi o altro.
Penso di non essere isolato, ma ciascuno fa la sua scelta liberamente. Poi è chiaro che da domani o da dopodomani cambia tutto nel Pd. Si capirà meglio chi è minoranza e chi è maggioranza. Niente più giochi». I dissidenti hanno provato a convincere Renzi a evitare il ricorso alla fiducia. Hanno perso, pur sapendo che finiva così. «Ho preso una sberla? Può darsi. Comunque se la sberla la prendo io insieme a qualcun altro non è un problema. Il punto è che lo schiaffo Renzi lo ha dato all’Italia».
Siamo arrivati al momento dello scontro frontale. Non votare per il governo del proprio segretario politico è una rottura definitiva. «Non mi sento in colpa. Renzi ha fatto un atto di prepotenza, che è nella sua natura».
Si riuniscono Area riformista con Roberto Speranza, Gianni Cuperlo e Pippo Civati che scherzano: «Stavolta Pippo vota la fiducia. Finora era sempre da solo contro i governi Letta e Renzi. Oggi è in buona compagnia, persino troppo popolare». Ma Bersani non è né alla prima riunione né alla seconda. Attraversa veloce i corridoi, sta chiuso in aula durante le votazioni, compulsa il telefonino e manda qualche messaggino. Bisogna seguirlo per il palazzo, per parlarci.
LETTA-BINDI-BERSANI ALL'ASSEMBLEA PD
La questione è cosa c’è dopo la fine di un rapporto, come si sta in una Ditta che non assomiglia più all’originale, cosa si muove intorno a un capogruppo dimissionario, due ex segretari come Bersani e Epifani, un ex premier (Letta), due sfidanti delle primarie (Cuperlo e Civati) che decidono di rompere con una comunità.
Scissione? Bersani non risponde, divaga, cita a memoria: «Se resto chi va, se vado chi resta». È un gruppo, quello di chi non darà più il suo voto al governo Renzi, in mezzo al guado. Che si prepara a una sfida, al congresso del 2017, un po’ troppo lontana nel tempo per essere gestita in maniera pacifica nei mesi che mancano. «È importante che ci sia mescolanza tra fondatori e una nuova classe dirigente — spiega Miguel Gotor, ancora oggi il parlamentare più vicino a Bersani —.
GUGLIEMO EPIFANI CON BERSANI ALLE SPALLE FOTO LAPRESSE
RENZI E LETTA ALL ASSEMBLEA NAZIONALE PD
E anche tra culture politiche diverse. Si tratta di un nucleo riformista che darà battaglia dentro il Pd nel nome dei suoi valori originari ». Dicono, i bersaniani, che ”Matteo” non si fida della sua maggioranza (renziani, franceschiniani, giovani Turchi). Insomma, che è in difficoltà, che la sua è una prova di debolezza.
L’obiettivo è continuare la sfida sotto le insegne del Pd, come dice Gotor. Ma il rapporto si è logorato. Fascismo e guerra fredda, sono le chiavi storiche evocate per criticare il ricorso alla fiducia. «Passi per De Gasperi, ma Renzi eviti di strumentalizzare Moro e il cattolicesimo democratico », sottolinea Gotor. Si litigherà su tutto d’ora in poi. Anche sulla storia.
roberto speranzaL APPUNTO DI EPIFANI SULLE NOMINE DOPO L INCONTRO CON BERSANI FOTO CORRIERE BERSANI RENZI
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