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1-BERLUSCONI E I SOLDI A DELL'UTRI: REGALI IN SEGNO DI RICONOSCENZA
Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"
Le sentenze che hanno certificato, fino in Cassazione, la contiguità di Marcello Dell'Utri con la mafia per lui non contano. Il senatore siciliano, vecchio amico e stretto collaboratore, per Silvio Berlusconi era e resta una persona specchiata, al di sopra di ogni sospetto. Del resto il reato di concorso esterno in associazione mafiosa per l'ex premier è qualcosa di fumoso, che non lo convince granché.
E poi Dell'Utri è palermitano, e nella città in cui è cresciuto è facile fare incontri pericolosi dei quali nemmeno ci si rende conto. Quanto a Vittorio Mangano, il boss mafioso che per un periodo lavorò nella villa di Arcore come stalliere che alla bisogna accompagnava a scuola i figli di Berlusconi, è sempre apparso una «persona a modo, affabile»; solo dopo che se ne andò venne fuori la sua affiliazione a Cosa nostra.
Tutto questo ha sostenuto ieri pomeriggio il fondatore di Forza Italia e del Popolo della libertà , nell'interrogatorio davanti ai pubblici ministeri di Palermo che indagano su una presunta estorsione ai suoi danni esercitata proprio da Marcello dell'Utri. Il quale, nel corso dei decenni, ha ricevuto da Berlusconi (oltre ai regolari stupendi e alla gratifica dell'ingresso in Parlamento, diciotto anni fa) versamenti e regalie per oltre quaranta milioni di euro.
Prezzo del ricatto pagato alla mafia attraverso un personaggio contiguo come il senatore palermitano, secondo l'accusa; semplici donazioni in segno di stima e riconoscenza, secondo l'ex presidente del Consiglio che afferma di non aver mai subito un'estorsione in vita sua. Nemmeno quelle che le sentenze hanno invece accertato ai danni della sua Fininvest.
Del resto, prima ancora dell'interrogatorio di ieri, per giustificare il fiume di denaro finito dalle sue tasche in quelle dell'amico senatore, Berlusconi aveva aggiunto altre cifre milionarie a quelle già considerate sospette dalla Procura di Palermo. Nelle memoria inoltrata qualche giorno fa ai magistrati ha allegato un verbale reso come testimone alla Procura di Torino nel 1996, nell'ambito dell'indagine per false fatturazioni a carico di Dell'Utri sfociata in un patteggiamento a 2 anni e 3 mesi di carcere.
In quella deposizione l'ex premier parlò di ulteriori cessioni di titoli di credito (per circa un miliardo di lire), indefiniti versamenti «di volta in volta varianti da 100 a 500 milioni di lire», di «pagamenti in contanti» e di un'altra villa sul lago di Como regalata al suo amico siciliano: una lussuosa dimora a Sala Comacina acquistata dal senatore coi soldi Berlusconi nel 1991, ristrutturata con circa 3 miliardi di lire e rivenduta nel 1999 per circa 11 miliardi.
Quando i magistrati torinesi gli chiesero conto di tutte quelle donazioni, avvenute in gran parte con cessioni di titoli di credito davanti a un notaio, Berlusconi rispose: «Credo sia dovuto all'entità delle liberalità ; di fronte ad entità elevate sono abitualmente ricorso a un atto notarile, ma potevano esservi situazioni di urgenza, rappresentate dal Dell'Utri e da sue esigenze di spesa, legate a motivi familiari.
Ad esempio l'ho invitato io ad acquistare una casa sul lago di Como con l'intesa che gli avrei pagato io i lavori di ristrutturazione, e gli avrei fornito anche i fondi per l'acquisto. Era un dono che voleva essere completo». Il motivo? «Io sono amico fraterno di Dell'Utri, ci siano frequentati per molti anni ed è lui che ha messo insieme la mia prima squadra di calcio; ha il merito enorme di aver fondato Publitalia, e naturalmente io mi sento in debito nei suoi confronti, e c'è sempre stata un'intesa tacita che io avrei ripagato questi meriti».
Questo verbale ora fa parte dell'indagine a carico di Dell'Utri insieme a quello redatto ieri davanti al procuratore di Palermo Messineo (che non è fra gli intestatari del fascicolo, ma ha trattato personalmente con l'avvocato Ghedini la data e il luogo della testimonianza, una caserma della Guardia di Finanza di Roma anziché gli uffici giudiziari siciliani), all'aggiunto Ingroia e al sostituto Lia Sava.
In questo appuntamento s'è parlato anche di una seconda residenza di Dell'Utri sul lago di Como, Villa Comalcione, che il senatore ha ristrutturato (a suo dire) con i soldi avuti da Berlusconi, e che poi Berlusconi ha acquistato a un valore che i pm considerano molto maggiore rispetto al valore effettivo.
L'acquisto, con relativi versamenti per circa 21 milioni di euro, è stato perfezionato a marzo scorso, alla vigilia del verdetto della Cassazione che avrebbe potuto portare Dell'Utri in carcere e far scattare il sequestro dei suoi beni. «L'ha venduta per esigenze familiari», ha spiegato Berlusconi. Buona parte dei milioni versati dall'ex premier su un conto italiano della moglie e del figlio di Dell'Utri furono quasi immediatamente spostati in una banca dell'isola centro-americana di Santo Domingo.
Secondo i legali di Berlusconi - che hanno chiesto alla Procura generale della Cassazione di spostare l'inchiesta a Monza o a Milano per competenza territoriale - ritengono che tutto sia stato chiarito. I magistrati di Palermo continuano a svolgere accertamenti, in attesa di conoscere il destino dell'indagine.
Eventualmente anche dopo la partenza del procuratore aggiunto Ingroia, di cui Berlusconi ha confessato di aver avuto un'impressione migliore di quanto immaginasse e al quale ha augurato «buon lavoro in Guatemala», sua prossima destinazione per un incarico sotto l'egida delle Nazioni Unite.
2-I MAXI-BONIFICI AL FIGLIO DI PREVITI
Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera"
Non soltanto Dell'Utri, e nemmeno solo le ragazze del bunga-bunga mensilmente sovvenzionate anche ora che in Tribunale sono testimoni nel processo Ruby. Pure un altro storico compagno di viaggio dell'ex premier ne ha sperimentato la munifica amicizia, e anche qui mentre c'erano processi in corso: Cesare Previti, tramite suoi familiari.
Il 27 luglio 2005 il figlio Stefano (avvocato come il padre) riceve sul proprio conto, con la causale prestito, un bonifico di 10 milioni di euro dal conto di Berlusconi presso la Banca Arner di Milano, operazione «non inserita nell'Archivio Unico Informatico della banca»: in quel 2005 Previti jr. gira metà dei 10 milioni su un conto di Silvana Pompili, moglie di Cesare Previti. Poi il 19 dicembre 2007 Berlusconi bonifica a Stefano Previti ancora 1 milione di euro.
à quanto emerge - senza che ciò abbia comportato alcuna contestazione giudiziaria a Berlusconi o ai Previti - dalla relazione del consulente tecnico della Procura di Milano su alcune operazioni segnalate come «sospette» dall'Uif, documento di molte centinaia di pagine depositato agli atti dell'indagine sugli ex vertici della Banca Arner, di cui a fine luglio i pm Pellicano e Clerici hanno chiesto il rinvio a giudizio per differenti episodi di ostacolo all'autorità di vigilanza e violazione del Testo unico bancario.
Il bonifico dei 10 milioni nel luglio 2005 cade 2 mesi dopo la condanna in Appello dell'ex ministro della Difesa nel processo Imi-Sir per corruzione del giudice Metta, e 5 mesi prima dell'Appello che anche nel processo Sme lo condannerà per corruzione del giudice Squillante, sentenza annullata nel 2006 dalla Cassazione per incompetenza territoriale e infine sfociata in prescrizione a Perugia.
Anche il conto della moglie di Previti è finito sotto osservazione, perché fra l'1 aprile 2008 e il 23 aprile 2009 ha registrato in entrata «da Stefano Previti 22 bonifici con causale regalìa per complessivi 700.000 euro», e in uscita «688.000 euro con 200 assegni bancari, molti dei quali di pezzature variabili fra 5 e 10 mila euro» e dunque «inferiori al limite di registrazione», assegni «incassati per contanti allo sportello da Rita Passaro e Marco Iannilli».
Una è «la segretaria di Cesare Previti», l'altro è «l'impiegato dello studio legale di Cesare Previti», che nel 1990 l'allora avvocato del Cavaliere, nel pieno della battaglia tra Berlusconi e De Benedetti per il controllo della Mondadori, «fece nominare amministratore della Mondadori e indusse a recarsi all'estero affinché non fosse rintracciabile per la notifica dell'atto» con la quale la controparte voleva chiedere il sequestro delle azioni della società .
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