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Tonia Mastrobuoni per "la Stampa"
La discussione politica in Germania è ormai totalmente monopolizzata dai due "Super Mario" italiani. Ma mentre dal governo tedesco è arrivato ieri un appoggio esplicito e pieno alle ultime decisioni della Bce, Mario Monti ha dovuto far fronte ad una vera e propria levata di scudi bipartisan contro una frase della sua intervista allo Spiegel.
«Se i governi si facessero condizionare dalle decisioni dei loro parlamenti, senza mantenere margini di manovra, la disintegrazione dell'Europa sarebbe più probabile dell'integrazione»: queste le parole del presidente del Consiglio che sono riuscite a ricompattare destra e sinistra tedesca in un'unanime reazione indignata.
In Germania, il paese che ha partorito con il nazismo l'esempio più devastante dell'antiparlamentarismo di tutti i tempi, il fatto che ogni decisione europea passi per il Parlamento non è mai percepita come una sclerosi. à un fatto sacro. Tanto che addirittura il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, fu rimproverato mesi fa dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, perché si era permesso di suggerire al Bundestag di votare per una delle innumerevoli decisioni prese a Bruxelles. Se l'autonomia della banca centrale tedesca è intoccabile, lo è altrettanto quella del Parlamento, lo rimbrottò Schäuble.
Non meraviglia, dunque, la durezza delle reazioni registrate ieri a Berlino, a cominciare da quella del portavoce di Angela Merkel, Georg Streiter: «à convinzione della cancelliera che la Germania funzioni abbastanza bene con l'appoggio del Parlamento». E le indicazioni più recenti della Corte costituzionale, ha aggiunto, «ci fanno pensare, anzi, che il Parlamento sarebbe da coinvolgere di più e non di meno».
Un ragionamento cui ha fatto eco quello del ministro degli Esteri Westerwelle e, con toni ancora più duri, il presidente del Bundestag, Norbert Lammert: «è vero il contrario» di quanto affermato da Monti. Il capo della Csu, dell'ala destra dei cristianodemocratici, Alexander Dobrindt, ha sparato come al solito ad alzo zero parlando di un «attentato alla democrazia» ed ha detto che «l'avidità di Monti lo spinge verso lidi antidemocratici».
Ma la novità è che contro l'italiano si è fatta sentire anche l'opposizione socialdemocratica. Per il vice capogruppo della Spd, Joachim Poss, «l'accettazione dell'euro e del suo salvataggio vengono rafforzati e non indeboliti dai passaggi parlamentari». Evidentemente, ha aggiunto velenoso, «gli orrendi anni del berlusconismo hanno fatto un po' smarrire il senso dell'importanza del parlamento».
Questa convergenza sulla linea anti-Monti ha fatto dimenticare per un momento che le critiche scomposte alla decisione di Mario Draghi di giovedì scorso erano venute invece solamente dalla Csu e dalla Fdp, il partito dei liberali che dal 2009 ha perso due terzi del suo elettorato. Entrambi hanno già scelto l'euroscetticismo come cifra della campagna elettorale per le politiche del 2013 e lo fanno sentire ad ogni piè sospinto. Ma è un connubio che non rappresenta certo la Germania, né tantomeno il governo di Angela Merkel.
Nella sonnecchiante Berlino prevacanziera gli sparuti commenti anti-Draghi hanno fatto, tuttavia, rumore. Così, nelle stesse fila di questa destra governativa qualcuno ha cominciato a distinguersi: il ministro degli Esteri Guido Westerwelle ha invitato la Csu ad usare toni meno violenti: «Il tono della discussione è molto pericoloso - ha detto il politico liberale -. Dobbiamo stare attenti a non distruggere l'Europa a parole».
Aggiungendo che «se si vuole fare qualcosa, bisogna farlo senza toni aggressivi». Qualche minuto prima l'esponente della Csu Michelbach aveva chiesto a Draghi trasparenza totale sui bilanci, di dichiarare cioè di che paesi sono i bond depositati a Francoforte. Ma dal portavoce della cancelliera è arrivato un endorsement forte e chiaro a Draghi: «il governo tedesco non ha alcun dubbio che tutto ciò che la Bce fa, è nel rispetto del suo mandato».
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