DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Alberto Simoni e Alessandro Barbera per “La Stampa”
Mentre fra i boschi del castello di Elmau si smonta il palcoscenico del vertice dei Sette grandi, la diplomazia occidentale deve già pensare al prossimo appuntamento: quello del G20.
La soluzione della guerra in Ucraina passa anche da qui: fra i Venti c'è la Russia di Vladimir Putin e i leader si interrogano su un dettaglio non banale: invitarlo o escluderlo platealmente? Ieri, durante la conferenza stampa di chiusura del G7, Mario Draghi ha messo il dito nella piaga. La presenza dello Zar? «Il presidente di turno del G20 Widodo (Indonesiano, ndr) lo esclude».
Di più: «E' stato categorico, non verrà. Quello che potrà succedere sarà magari un intervento a distanza». Nel giro di un'ora arriva la risposta di uno dei portavoce del Cremlino, Yury Ushakov: «Non spetta a Draghi deciderlo. Ha probabilmente dimenticato che non è più il presidente del G20. L'invito a partecipare è stato ricevuto e accettato». La forma talvolta è sostanza: come tutti i vertici internazionali, l'appuntamento che riunisce i capi di Stato è solo l'ultimo atto di incontri che interessano tutti i ministri.
E nel caso del G20 i ministri degli Esteri si riuniscono già la prossima settimana. Ieri sia il segretario di Stato americano Antony Blinken che il russo Sergei Lavrov hanno fatto sapere che ci saranno, così come Luigi Di Maio. Se le presenze saranno tutte confermate, sarà il primo incontro fra le diplomazie occidentali e russa dall'inizio della guerra. Blinken ha precisato che «ci sarà per difendere gli interessi americani», come a voler sottolineare che senza la presenza americana Putin avrebbe dalla sua molti più alleati che altrove. E' anche questo il motivo per cui il cancelliere tedesco Olaf Scholz ieri ha detto che il G7 non vuole minare l'unità del G20, lasciando aperta la strada ad una partecipazione di tutti.
Il tetto sull'energia La questione più controversa della tre giorni dei leader occidentali ha riguardato il tetto ai prezzi dell'energia russa. Il comunicato finale ha confermato le indiscrezioni della notte precedente: i Sette hanno dato mandato ai rispettivi ministri dell'Energia di studiare un tetto ai prezzi energetici, di petrolio e gas. Difficile immaginare che da lì arrivi una soluzione concreta per tutti, ma a Draghi - grande sponsor della misura - importava mettere sotto pressione l'Unione europea perché passi dalle parole ai fatti prima dell'autunno, la scadenza fin qui fissata per calmierare il prezzo del metano importato da Mosca. «Spero in un risultato prima di ottobre», dice il premier. «Se succede siamo ovviamente contenti». Per il momento la decisione è bastata a mettere pressione a Putin, che anche in questo caso ha reagito piccato. Con un tetto ai prezzi «cercheranno di modificare gli attuali contratti», fa sapere il portavoce dello Zar Dmitry Peskov. Ma ciò «dovrebbe essere discusso».
Per Draghi quel che conta è «avere una base solida su cui ci si possa scambiare considerazioni razionali e non solo psicologiche. Questo non vuol dire che la psicologia non sia razionale». Qualcosa si muove già: una fonte diplomatica ha rivelato alla Reuters che sono stati avviati contatti con India e Cina per abbassare i prezzi, tenuto conto che entrambi comprano il petrolio russo quaranta dollari sotto il valore di mercato del greggio di qualità Brent. Stessa cosa starebbe avvenendo negli Stati Uniti, dove l'amministrazione ha avviato contatti con le grandi compagnie.
Sanzioni Il tetto ai prezzi di petrolio e gas è l'ultima arma economica che l'Occidente prova a brandire dinanzi a Putin. I grandi nel loro comunicato hanno comunque ribadito la linea a favore dell'inasprimento di sanzioni «dure» verso Mosca. Ieri il Dipartimento del Tesoro americano ha varato il provvedimento che impone il bando all'import negli Stati Uniti dell'oro russo.
La Cina e il clima E poi c'è l'atteggiamento verso il principale alleato di Mosca, la Cina. Fin dal primo giorno di guerra, Washington ha spinto affinché gli alleati europei (fin qui più cauti) assumessero una posizione netta nei confronti di Pechino. Il documento finale del G7 definisce i rapporti con il regime di Xi una «sfida collettiva». Nel mirino dei Sette ci sono «pratiche economiche non trasparenti» a partire dalle condizioni di lavoro. I leader hanno anche tentato di riaccendere l'attenzione sul problema climatico, derubricato dalla guerra a danno collaterale. Nel documento si sottolinea che gli sforzi fatti fin qui «non sono sufficienti» e che per rispettare l'esigenza di ridurre le emissioni serve fare di più. Tagli del gas russo permettendo.
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