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Mattia Feltri per “la Stampa”
Il problema di Renato Brunetta - dice scherzando lui medesimo - è che non esistono brunettiani. Ieri se n’è andato al Quirinale da solo e forse, chissà, gli sarebbe piaciuto portarsi dietro qualche pretoriano a esibire la forza emergente. Di sicuro gli è piaciuto non avere affianco altri sacerdoti del berlusconismo con cui dividere la legazione. E del resto chi? Il collega-capogruppo al Senato, Paolo Romani, che ci andava a fare? A dire che la riforma da lui sostenuta, sollecitata e votata sei mesi fa conduce dritti alla dittatura?
Ci doveva andare Denis Verdini, a dire che la riforma concordata e costruita al Nazareno col presidente del Consiglio è il tappeto rosso del despota? O magari ci doveva andare Giovanni Toti, che incarichi non ha e porta al massimo il titolo di europarlamentare?
E così ci è andato Brunetta in rappresentanza del partito intero e portando con sé uno dei dossier (questo in venticinque punti) che ama compilare e che compila benissimo per dimostrare al capo dello Stato che il disastro costituzionale è a un passo.
Tutti i suoi parlamentari sono furenti e a spiegare la faccenda ci ha pensato Maurizio Bianconi che, in quanto fittiano, non ha vincoli di omertà: ma che diavolo c’era scritto in quel dossier che non ha concordato con nessuno? Di uomo solo al comando, ha aggiunto Bianconi, pensavamo ce ne fosse e ne bastasse uno, Silvio Berlusconi. Il resto del mondo fa lo stesso ragionamento, ma se ne sta spaventato e muto ad aspettare che il momento di gloria passi.
E che gloria: nel giro di dieci giorni, Brunetta è diventato l’interprete unico del pensiero post-Nazareno, il delegato ufficiale alla polemica col premier, prima sopita e ora incoraggiata dal Capo, e una specie di portabandiera delle opposizioni sparse e diffuse, e provvisoriamente riunificate in resistenza al renzismo.
È la conclusione (temporanea) inevitabile, poiché Brunetta è stato apertamente nemico del Nazareno, come Fitto, ma, a differenza di Fitto, senza farne motivo di una battaglia strutturale che comprendesse la legittimità della leadership berlusconiana, la ricomposizione del partito e la modifica degli strumenti di selezione delle gerarchia.
Insomma, Fitto oggi è ricercato in quanto golpista (Berlusconi dice che per lui Fitto non esiste più, e farà come se se ne fosse già andato); Brunetta è un simpatico e preparatissimo rompitasche che è riuscito nel capolavoro di avere ragione senza dare torto al comandante.
«Berlusconi mi chiama e alla fine è sempre d’accordo con me, al massimo mi invita a un minimo di prudenza lessicale», diceva Brunetta dopo ogni raddrizzata divergenza. Ora se la gode. Si diverte anche a vedere tutti i suoi deputati che fino a due giorni fa raccoglievano firme per farlo fuori, e sono ridotti a tacere, e continuano a subire le sue soperchierie e la sua superiorità di studioso.
Sa che durerà soltanto un po’: non ha coltivato la sostanza del potere, non ha ras locali da far pesare in trattativa, non ha truppe da gettare nella guerra intestina, e appena girerà il vento li avrà tutti addosso, come tutti addosso li avuti da ultimo l’arcinemico Verdini. Però, intanto, quanto si diverte.
MANIFESTAZIONE PDL A VIA DEL PLEBISCITO AGOSTO RENATO BRUNETTA
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