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FINI, IL G8 DI GENOVA E QUELLA TELEFONATA DI BERTINOTTI: BUTTAFUOCO RICOSTRUISCE IL GIORNO DEGLI SCONTRI METTENDOSI NEI PANNI DI GIANFRY, ALL'EPOCA VICEPREMIER MA SENZA POTERI, 'PRIGIONIERO' DEL COMANDO DEI CARABINIERI, DOVE ASCOLTA E S'INFORMA DI FATTI DECISI DA ALTRI

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Pietrangelo Buttafuoco per ''il Fatto Quotidiano''

 

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Dicono tutti che stavo decidendo io quella mattina a Genova. Che ordinavo, intimavo…Purtroppo no. Niente di tutto ciò.

 

Ecco, Forte San Giuliano, comando dei Carabinieri. Sono il vice presidente del Consiglio e sono appena arrivato da un giro di saluti istituzionali. Porto la solidarietà del Governo di Silvio Berlusconi alle Forze dell’Ordine fatte oggetto di aggressioni da parte dei black-bloc, la sera prima.

 

Non dovendo partecipare al G8, non avendo titolo, decido di fare questa gita.

 

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E’ metà mattinata. Ho dormito in una nave MSC–Crociere messa a disposizione per i leader e le delegazioni internazionali, arrivo al Forte e mi accorgo da subito che non posso più uscire. Sono ripresi i disordini. Per sette ore di fila, senza poter fare una beata mentula, resto lì.

 

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Ascolto, annuisco, partecipo, comprendo, m’informo – stringo al collo il nodo della cravatta, fumo tre pacchetti di Merit 100 più svariate Marlboro sottratte qui e la – ma non tocco palla. Non mi fanno stare neppure nella stanza di comando, mi fanno accomodare in una stanzetta attigua. Ho capito: era meglio evitarmela la gita, sarei adesso ad Anzio, a casa.

 

La scelta di Genova è una patata bollente. Giuliano Amato – con Enzo Bianco al Viminale – aveva già provveduto a manganellare gli antagonisti. Succedeva a Napoli qualche mese prima del voto. E quelli l’avevano giurata.

 

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Non sarebbe un bel risultato vedere il vice premier – seppur di altro governo – violentemente picchiato dalle “zecche”. La destra deve stare al fianco dei carabinieri e mi ritrovo così, guardato a vista, col risultato di fare perdere tempo a tutti.

 

Protetto? Prigioniero. Pretendo di avere tutte le informazioni. Arrivano le notizie. Scontri dappertutto. Genova è a ferro e fuoco. Tre cortei si dirigono contemporaneamente verso quella che Claudio Scajola – il solito democristiano – ha insistito di voler chiamare “zona rossa”.

 

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Vittorio Emanuele Agnoletto e Luca Casarini sono i leader più visibili degli antagonisti. C’è pure Fausto Bertinotti. Arriva a Genova per partecipare al corteo, quello dei sindacati. Spero s’incarichi di portare un po’ di buonsenso anche tra quegli scalmanati.

 

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Sento un ticchettio tutto intorno. Pretendo di essere informato. Un funzionario fa un’alzata di spalle e mi dice: niente, una sassaiola. Accendo ancora una sigaretta. Dura un bel po’ la rumba sulle nostre teste. Nessuna reazione.

 

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Vado a fare pipì, torno nella stanzetta, ordino un altro caffè e mi passano un telefono. E’ Bertinotti che mi chiama. Se mi cerca qui è segno chiaro di un fatto: sono una notizia. La mia partecipazione è attiva. La cosa in sé mi ripaga delle ore inutili, e del rimpianto di non essere ad Anzio. Rispondo: “Onorevole, mi dica”. Mi dice: “Io penso a calmare questi. Lei si premuri di tenere buoni i suoi”. I miei? Accendo un’altra sigaretta.