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Mentre la politica di Obama sul Medio Oriente segna una fase di stallo, il rivale Putin sembra non sbagliare un colpo. La visita di Benjamin Netanyahu al Cremlino, lo scorso 21 settembre, ha gettato le basi di un patto di ferro tra Mosca e Tel Aviv.
Israele, si sa, non ha mandato giù l’accordo degli Stati Uniti con l’Iran sul nucleare, definito “un gravissimo errore”, ma quando Netanyahu è andato a far visita al suo collega russo ha comunque voluto salvare le apparenze e ci ha tenuto a dichiarare che “l’Amministrazione Usa è stata informata dei contenuti dei colloqui”. Come dire, siamo sempre un alleato fedele di Washington, per carità.
Russia e Israele hanno formalmente deciso di coordinarsi militarmente, in modo da evitare che ci siano incidenti sui cieli della regione siriana. E fin qui si sapeva. Ma Putin e Netanyahu sono andati oltre e hanno stretto un vero patto strategico. Israele non ha nulla in contrario a che la Russia intervenga direttamente al fianco di Assad, in questa fase, e fa il tifo perché l’Isis venga sbaragliato. Ma ha ottenuto la garanzia che, una volta annientato il Califfato, il dittatore di Damasco verrà messo gentilmente alla porta e si farà spazio al solito presidente fantoccio.
Israele, in forza di questo patto, passa sopra anche al fatto che l’interventismo russo in Medio Oriente stia rinsaldando l’asse con il “Satana” iraniano. Del resto Putin ha anche un validissimo motivo di politica interna per scatenarsi contro l’Isis: la Cecenia è una regione a maggioranza musulmana e se la jihad dovesse prendere piede anche lì per Mosca sarebbe un problemaccio.
Le cancellerie che seguono la crisi siriana, intanto, si sono annotate con grande divertimento le parole uscite dalla boccuccia di Pittibimbo lo scorso 27 settembre, quando la Francia ha cominciato a bombardare in Siria: “Bisogna evitare che si ripeta una Libia bis”. Libia bis? I diplomatici, non solo a Parigi, si sono chiesti se il nostro premier sia a conoscenza del fatto che in Libia il problema sono le centinaia di tribù in guerra fra loro e che non danno punti di riferimento affidabili ai governi occidentali. Una situazione che non c’entra proprio nulla con la Siria.
Il palazzo dellemiro oggi a Doha
E per restare alla guerra intorno a Damasco, va registrata la nuova tensione tra il piccolo Qatar, noto per la sua politica ambigua, e gli Stati Uniti. L’emirato aveva garantito agli “amici” di Washington che i ribelli siriani erano affidabili e andavano sostenuti, ma con il passare dei mesi il Pentagono si è reso conto che si stavano fornendo armi che poi finivano all’Isis e che i ribelli erano quasi tutti jihadisti. Un bel casino, tanto è vero che oggi la Casa Bianca ha chiuso il programma di aiuti militari. Tra una lamentela e l’altra, comunque, gli americani hanno ottenuto dal Qatar di poter allargare la già monumentale base militare di Doha.
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