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Alessandro Mondo per “La Stampa”
I VENTILATORI DI DOMENICO ARCURI
Passaggi di fase troppo lenti, eccessivo ritardo di apertura della valvola inspiratoria. Risultato: «I ventilatori presentano caratteristiche hardware e software che di fatto ne rendono improponibile l'utilizzo in pazienti con insufficienza respiratoria».
Questa è la storia - meglio: l'ennesima puntata - di 484 ventilatori polmonari inviati in Piemonte nelle prime, devastanti fasi della pandemia, e che da oltre un anno prendono polvere nei magazzini delle Asl perché giudicati inaffidabili dai responsabili delle rianimazioni.
Apparecchi da impiegare nelle terapie intensive e subintensive, per la ventilazione invasiva e non invasiva, acquistati dalla struttura commissariale che all'epoca faceva capo a Domenico Arcuri. Il costo stimato è di circa 10 mila euro ciascuno.
Da allora sono accadute molte cose: la pandemia ha fatto il suo corso, poi è rifluita, ora sta riaccelerando. Nel frattempo la Regione ha sopperito comprando altri ventilatori, fondamentali per supportare i pazienti colpiti da insufficienza respiratoria a causa della polmonite mono o bilaterale da Covid, di tasca propria.
Ma quelli in questione sono sempre al loro posto, inamovibili. Per la verità nei mesi scorsi il produttore ha fatto qualche tentativo, su richiesta, per rimediare ai limiti funzionali. Nulla che abbia spinto il Dirmei, il braccio operativo della Regione nel contrasto all'emergenza Covid, a cambiare posizione.
Di più. L'ultimo report - richiesto dall'attuale struttura commissariale per fugare ogni dubbio e consegnato direttamente al generale Francesco Figliuolo, lunedì scorso in visita a Torino -, contiene la bocciatura definitiva.
Uno studio comparativo - che ha misurato le performance dei ventilatori polmonari in questione con altri sei, di diverso tipo e comunemente impiegati nelle terapie intensive del Nord Italia per fronteggiare la pandemia in varie condizioni di ventilazione controllata ed assistita - ha tagliato al testa al toro.
Tutti gli apparecchi sono stati collegati ad un simulatore polmonare impostato sia per riprodurre condizioni cliniche, sia per effettuare dei test in condizioni particolarmente gravose.
A seguito delle analisi, in volume controllato e in pressione di supporto, i ventilatori finora inutilizzati, di cui gli stessi rianimatori diffidano, hanno confermato la loro inadeguatezza. In particolare, «risultano statisticamente meno performanti ed erogano un volume corrente espiratorio inferiore alle altre macchine e ai parametri impostati».
Non certo un dettaglio, considerato che «un volume minuto basso può condurre ad una mancata eliminazione della CO2 con conseguente affaticamento del paziente, incremento di sforzo e frequenza espiratoria fino all'esaurimento muscolare».
Ancora: il dispositivo che consente al ventilatore di iniziare la propria fase inspiratoria, in sincronia con l'inizio dell'inspirazione del paziente, mostra tempi superiori rispetto alle altre macchine.
Tra l'altro, nella relazione conclusiva si fa notare che questi risultati sono stati ottenuti da prove con un simulatore che mimava un paziente intubato: nei pazienti assistiti in ventilazione non invasiva queste differenze non possono che aumentare e le macchine devono essere ancora più performanti. In conclusione, alla luce dei test «risulta evidente e statisticamente significativa una differenza di performance tra questi ventilatori e gli altri, testati in tutte le modalità analizzate. Tali differenze possono avere gravi ripercussioni cliniche nell'impiego di tali macchine su malati critici».
Difficile stabilire se in altre Regioni sono arrivate partite dei medesimi apparecchi: più che plausibile. Una cosa sembra certa: quelli in Piemonte, prima o poi, torneranno dove sono arrivati. O verranno buttati.
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