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Marina Verna per "La Stampa"
Le parole per dirlo le ha trovate venerdì, dopo anni di dolorosi silenzi: «I segreti possono provocare danni enormi, soprattutto a se stessi. Molta gente predica l'onestà e quanto sia semplice praticarla. Ma prova a spiegare anche alle persone più care che conosci che sei gay! Per me è venuto il momento di scoprire cosa c'è oltre il calcio. A Londra da dove scrivo è una bella mattina e non posso essere più felice».
Sapeva il prezzo di queste parole e l'ha pagato prima che gli presentassero il conto: Robbie Rogers, 25 anni, californiano di Rancho Palos Verdes, calciatore del Leeds, squadra inglese della Championship (la Serie B) si è ritirato dai campi di calcio. La ragione ufficiale sono i numerosi infortuni che hanno costellato la sua carriera, quella privata l'ha detta senza reticenze. Non voleva più tenere quel segreto - e nascondersi.
Non era un fuoriclasse, l'attaccante statunitense, ma a 25 anni aveva davanti a sé ancora tante stagioni. La tensione era però diventata insopportabile. «Per anni ho avuto paura - ha spiegato -. Paura di mostrare chi ero veramente, paura dei giudizi e del rifiuto da parte di chi mi amava. Il calcio era la mia fuga, il mio obiettivo, la mia identità e mi ha dato più gioia di quanta potessi sperare. Ma è il momento di andare via e di riscoprire me stesso lontano da questo mondo».
Rogers non ha detto di essere stato costretto a lasciare, ma il fatto di essere il primo giocatore professionista a dichiararsi pubblicamente gay rendeva la sua posizione piuttosto delicata in un mondo dove il tema è sempre stato accuratamente evitato. Il presidente della Fifa, Joseph Blatter ha accolto il «coming out» di Rogers con un tweet: «Questo è il 2013, grazie». La Federazione di calcio americana ha detto di essere orgogliosa di Rogers, che ha rappresentato gli Usa a Pechino alle Olimpiadi.
Nessun atleta dei grandi campionati professionistici Usa (dalla Nfl alla Nba) ha mai fatto «coming out» durante la carriera da giocatore. Nella sua battaglia non è solo: il portiere danese del Manchester United, Anders Lindegaard, giorni fa ha scritto sul suo blog: «Al calcio serve un eroe gay, gli omosessuali hanno bisogno di questo, i tifosi sono legati a modelli antichi e rozzi. Il football è rimasto indietro, mentre il resto del mondo è progredito».
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