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Andrea Arzilli e Cesare Zapperi per il "Corriere della Sera"
La corsa alla sentenza è arrivata all'ultimo giro di arringhe: nel maxiprocesso sul calcioscommesse, oggi è il giorno di Cristiano Doni e di Thomas Manfredini, ma soprattutto è il giorno dell'Atalanta, che, sull'abbrivio della A conquistata sul campo e conservata nella hall del Parco dei Principi, punta con decisione a una riduzione dei 7 punti con cui il procuratore Palazzi ha chiesto alla Disciplinare di penalizzarla. Ieri sera nell'albergo romano è arrivato, a ruota di Doni e Manfredini, anche il presidente dei bergamaschi, Antonio Percassi, che, per prima cosa, è andato a salutare il suo ds, Pierpaolo Marino, a Roma dall'inizio delle udienze.
L'Atalanta si presenterà unita davanti alla Corte e, nonostante la trincea del silenzio, si capisce che lo farà con grande fiducia. Del resto, dopo il sollievo di mercoledì, Chiappero, Pino e Bianchi, i legali dei nerazzurri, hanno visto aprirsi interessanti spiragli per il club. Considerano attaccabili le richieste di Palazzi, «equilibrate» le ha definite il pool che, nel primo grado, punta a togliere almeno 3 dei sette punti elaborati con criteri aritmetici dal Procuratore federale.
Come? Semplicemente attenendosi ai fatti nelle due partite sotto la lente di Palazzi, abbattendo il «mostro giuridico» della responsabilità oggettiva provando a scremare le posizioni di Doni e Manfredini dalle confessioni del pentito Micolucci, che ha già patteggiato con tanto di maxi sconto. Ieri l'Atalanta ha ascoltato con grande attenzione l'arringa dell'avvocato di Gervasoni.
Parole che sembrano aver incrinato, se non proprio smontato, la credibilità dell'ex ascolano, colto in contraddizione nelle deposizioni. Per questo la posizione di Manfredini, per cui Palazzi ha chiesto 3 anni di squalifica, è ritenuta dal pool dei bergamaschi forse la più facile da affrontare e smontare: c'è solo la parola di Micolucci contro quella dell'atalantino, la parola di un reo confesso contro quella di uno che non compare in nessun altro frangente della faccenda.
E poi c'è il caso di Doni, mai presente in prima persona nelle intercettazioni, ma sul quale pende una richiesta di 3 anni e mezzo, un'enormità se paragonata ai 14 mesi comminati a Micolucci. L'unico possibile anello di congiunzione tra inchiesta e capitano dell'Atalanta è Nicola Santoni, l'allenatore dei portieri del Ravenna e socio del bagno di Cervia, che però ha confessato a Palazzi di aver millantato, senza mai parlare con Doni. Se cade l'accusa su Manfredini e Doni, per l'Atalanta casca la responsabilità oggettiva, questo è certo. E sono due punti più due da togliere ai 7.
Ma se solo uno dei due si salvasse, cadrebbe «la pluralità di illeciti» : un punto anche qua. E quella presunta (1 punto) potrebbe scomparire perché, secondo i legali, sembra indimostrabile che la società sapesse delle scommesse di Santoni su Atalanta-Piacenza. La speranza c'è, insomma. Ma oggi è anche il giorno di Erodiani, che potrebbe continuare a non presentarsi per niente, e di Paoloni, che invece dovrebbe esserci, visto che il gip di Cremona gli ha concesso di lasciare gli arresti domiciliari per l'occasione. L'avvocato dell'ex portiere di Cremonese e Benevento (oggi c'è anche la società campana) ha chiesto di essere l'ultimo a parlare e gli hanno detto sì, ma forse sarà l'unica concessione.
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