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Enrico Fierro per “Il Fatto Quotidiano”
Lei corre per diventare governatore della Calabria sotto le sbrindellate insegne di Forza Italia. Lui deve ancora fare i conti con processi e condanne. Lei è Wanda Ferro, ex presidente della Provincia di Catanzaro, scelta da Berlusconi come volto pulito dopo i disastri di Peppe Scopelliti e gli scandali del Consiglio regionale più inquisito e arrestato d’Italia.
Lui è Luigi Sparacio, boss miliardario di Messina negli anni in cui la città babba aspirava a entrare nel giro grosso di Cosa Nostra. Arrestato si fa pentito, ma farlocco e a orologeria. Le loro storie si incrociarono in una discoteca di Taormina. Anni ruggenti all’Università della città del verminaio, Messina. “È una storia vecchia, ero una ragazza, non sapevo chi fosse davvero Sparacio. Certo, ebbi una forte simpatia sentimentale con lui, ma quando mi accorsi che facevamo parte di due mondi diversi, lasciai perdere. Perché ripescate una storia degli anni Novanta, una vicenda vecchia?”.
Wanda Ferro è gentilissima al telefono , l’abbiamo chiamata per chiederle spiegazioni, le offriamo una certezza: noi non ripeschiamo storie vecchie, ci interessa solo che la vita di chi si candida a governare la Regione italiana col più alto tasso di mafiosità, dove la ‘ndrangheta condiziona fortemente la politica, sia raccontata nei minimi dettagli agli elettori. “Questa storia – ci risponde – non mi imbarazza affatto. I politici collusi, loro sì che devono provare imbarazzo”. Fine della telefonata e inizio della storia.
Anni Novanta, le ragazze della Calabria bene studiano a Messina. E qui una giovanissima Wanda Ferro si trasferisce in un appartamento con altre studentesse. Lettere e Filosofia è la facoltà, le serate si passano in discoteca. A Taormina, al “Tout Va”, dove una sera al bar la giovane studentessa incontra Luigi, Gino Sparacio. È sposato ed è un astro nascente della mafia messinese, ama le Ferrari e il primo omicidio lo ha commesso a 17 anni. “Mi diceva che faceva il pacchista, cioè più o meno il rappresentante”, risponde lei nei vari processi in cui viene sentita come testimone.
È l’inizio di una relazione fatta di alti e bassi, con Gino che nell’estate del 1993 si arrampica fino a Catanzaro per “conoscere ahimé i miei genitori”. Gino vive in quella casa di studentesse e una domenica mattina... È la stessa Wanda Ferro a raccontare l’accaduto nel 2004 ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Catania. “Era ottobre del ’93, lui viveva da me e io ricevo una telefonata di mia madre... ricordo che lui fece segno di riagganciare... gli avevano detto che c’era il telefono sotto controllo. Io chiesi il motivo, il perché”.
Il perché lo si capirà qualche anno dopo, quando si scopriranno i legami di Gino Sparacio con poliziotti infedeli. Gino, “pacchista” per finta ma mafioso davvero, risponde che aveva avuto una lite in discoteca e che lo stavano cercando. La giovane Wanda si tranquillizza (“era chiaro che c’era qualcuno che gli forniva queste notizie, ma non mi ha mai detto né chi fosse, né cosa facesse”) e Gino le propone “un marchingegno”. Fare una telefonata col telefono sotto controllo e dire che lui non c’era, che era a Roma. Il clima fra i due si fa teso, Sparacio sparisce per giorni, non dà notizie. “Avevo paura – confessa la giovane Wanda ai giudici catanesi – perché a un certo momento mi resi conto che ero entrata in contatto con una persona che evidentemente...”.
silvio berlusconi inaugura la biennale di antiquariato
Nel 1993 la relazione finisce, fa mettere a verbale la Ferro, che però davanti ai giudici catanesi si confonde su alcune telefonate ricevute da Sparacio nel ’94, quando il bel Gino da boss arrestato si trasforma in gola profonda. “Non ricordo, non ricordo”, è il refrain che fa saltare su tutte le furie il pm di quella udienza. “Non le credo perché è impossibile che uno non si ricordi dopo che sente al tg che arrestano Luigi Sparacio. Che spiegano chi è Sparacio, il clamore eccetera, dopodiché, due, tre mesi dopo riceve una telefonata da questa persona, come si fa a non ricordarselo?”.
Alla fine Wanda ritrova la memoria: “Credo si sia parlato proprio di questo, della sua decisione che aveva preso che ritengo fatta seriamente”.
Luigi, Gino Sparacio si fa pentito e riceve trattamenti di favore. Lo coccolano, mantiene la sua Ferrari e continua la bella vita a Messina. Vive nella caserma della Polstrada, ma pretende di prendere il sole in terrazza. Il “rancio” non lo gradisce e si fa servire pesce fresco dai migliori ristoranti della città. È un fiume in piena l’ex “pacchista”, parla e inguaia poliziotti onesti e più di un magistrato. Gino diventa la gola profonda del verminaio di Messina. A scoprirlo un bravo avvocato della città, Ugo Colonna, che scoperchia la pentola maleodorante dell’affaire Sparacio.
“A Messina – dice nel 1997 alla Commissione antimafia – esiste un’organizzazione criminale che raccoglie un assetto di interessi imprenditoriali politici mai toccati dall’azione giudiziaria. Tale organizzazione risulta composta da imprenditori, uomini della finanza, magistrati, politici e mafiosi”. L’inchiesta sul verminaio e sui favori a Sparacio dura anni e fa finire nei guai anche magistrati, Colonna sarà minacciato dalla mafia, arrestato e poi scarcerato senza tante scuse, infine costretto a lasciare la Sicilia. Sparacio è agli arresti domiciliari, Wanda Ferro, mai indagata per queste vicende, corre alla conquista della Calabria.
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