DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Fabio Martini per “La Stampa”
Da tempo oramai la rossa Emilia-Romagna non era più l’eden incontaminato dei compagni, ma a quanto pare non porta bene neppure al presidente del Consiglio Matteo Renzi. Dopo le brusche uscite di scena, nel corso degli ultimi anni, del sindaco di Bologna Delbono e del presidente della Regione Errani, ieri nel giro di poche ore i due principali candidati del Pd alla nomination per la presidenza regionale, entrambi renziani, si sono ritrovati «azzoppati» per via di una indagine della magistratura che riguarda entrambi, sia pure come semplici indagati.
GIULIANO POLETTI IN SENATO FOTO LAPRESSE
Matteo Richetti - modenese, cultura cattolica, renziano della primissima ora - ha preferito ritirarsi dalla corsa; mentre Stefano Bonaccini, modenese anche lui, ma di cultura «comunista» e renziano della seconda ora - ha fatto sapere di restare in campo, essendo certo di poter chiarire con il pm la sua situazione. Ma aggiungendo, in via informale: «E comunque prima di tutto viene il partito...». Come dire: se il partito decide altrimenti, io sono pronto ad adeguarmi.
In altre parole, il Bonaccini che resta in corsa è un escamotage per non lasciare campo completo al terzo candidato, l’unico non indagato, il professor Roberto Balzani, già sindaco di Forlì, repubblicano, sangue caldo, imprevedibile, colto, inviso alla nomenclatura del partito emiliano. Ma dopo il ritiro di Richetti, ce la farà Bonaccini a restare in campo, senza trascinarsi dietro una ventata di polemiche velenose?
Ecco perché, ieri sera a palazzo Chigi, è tornata a circolare l’ipotesi di uscirne con un «briscolone»: in altre parole Bonaccini resterebbe in campo, per il tempo necessario a capire se si lasceranno convincere due candidati forti: Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza, già sindaco di Reggio Emilia, ma che ha già detto di no a Renzi; oppure - ecco la possibile sorpresa - Giuliano Poletti, attuale ministro del Lavoro, emiliano anche lui, di Imola.
Il presidente del Consiglio? Sempre sicuro di sé, spavaldo, con una risposta ad ogni domanda, per una volta Matteo Renzi ha preferito rinunciare ad intervenire sulla questione. Rivelatore un indizio: nel corso della lunghissima puntata di Porta a Porta registrata ieri sera, Bruno Vespa non ha fatto domande al riguardo. E all’uscita degli studi Rai, ai giornalisti che gli chiedevano un commento, il loquace premier, ha preferito rispondere con un «buon lavoro». Certo, a metà pomeriggio, prima della registrazione, Renzi si era fatto un’idea: «Dell’indagine non sapevo nulla ed escluderei che, conoscendola, qualcuno abbia pensato di candidarsi comunque. Io di certo non sono intervenuto».
Stavolta anche Renzi si è ritrovato spiazzato soprattutto perché i candidati indagati sono entrambi renziani ed è difficile per lui tirarsene fuori, come se nulla fosse.
Dietro le quinte, nelle settimane scorse Renzi si era dato parecchio da fare per risolvere la grana Emilia, con una preoccupazione prevalente: che si evitassero le Primarie.
Prima aveva chiesto la disponibilità a Delrio, ricevendone un no. Poi, si era puntato sulla candidatura unitaria del sindaco di Imola Manca, caro a Bersani e ad Errani, ma a quel punto ha rotto gli indugi Matteo Richetti, una fama e una militanza da moralizzatore, nella fase iniziale del renzismo, il personaggio più brillante di quel gruppo.
Poi, qualcosa si è rotto nel rapporto tra i due Matteo, Renzi ha preferito puntare su altri, senza però rotture. Ma nel discorso alla Festa dell’Unità, Renzi ha usato un’espressione spiacevole («Roberto, Matteo e Stefano hanno organizzato un gran casino»), quasi che i candidati fossero «colpevoli» per il semplice desiderio di volersi sfidare con le Primarie. Ma alla fine quella battuta così «invadente» ha preso le sembianze di un boomerang per il premier che vuole passare alla storia per aver «creato» in Italia il Senato delle Regioni.
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