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1.I GIORNALI SI PAGANO
Il pensiero: "I giornali si pagano". E fece sparire un' intervista Dal Fatto Quotidiano Era semplice il pensiero di Antonello Montante sulla stampa: i giornalisti bisogna pagarli. Come? Dando la pubblicità ai giornali. È il "Montante-pensiero", come viene definito nell' ordinanza, e che viene fuori da un' intercettazione ambientale del 25 ottobre 2015, quando l' imprenditore, parlando del governatore Rosario Crocetta, dice: "La minchiata ca fici all' inizio ca azzera tutti i giornalisti () Un governo si mantiene con la comunicazione () Renzi risolve indirettamente pirchì Renzi duna i soldi ai giornali! () Cù l' Eni, le Poste, Finmeccanica, Enel ()".
E conclude: "Dunici 2 milioni e 400 mila all' anno e non rompono coglioni". E così faceva. Nel 2015 infatti l' Ordine dei giornalisti di Sicilia aprì un' indagine conoscitiva per i finanziamenti di Montante, nella sua qualità di presidente della Camera di commercio di Caltanissetta.
L' Odg si occupò di un quotidiano locale che rimosse dal sito un' intervista all' avvocato Michele Costa, figlio del procuratore della Repubblica di Palermo Gaetano, ucciso dalla mafia il 6 agosto '80, in cui diceva, dopo le notizie di un' inchiesta per mafia su Montante che "ove la vicenda non venga chiarita, quella stessa legalità di cui è paladino gli dovrebbe imporre di farsi da canto".
2. UNA CENTRALE OCCULTA DI POTERE
Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera
Una «centrale occulta di potere», costruita sotto le insegne dell' antimafia, per condizionare e depistare le indagini per mafia avviate a suo carico. È l' accusa mossa dalla Procura di Caltanissetta a Antonello Montante, già presidente di Confindustria Sicilia e delegato nazionale per la Legalità, da ieri agli arresti domiciliari.
Un intrigo inquietante e paradossale avviato quando l' imprenditore è finito sotto inchiesta per presunti antichi rapporti con gli uomini d' onore della provincia nissena, dov' è nato e cresciuto; a quel punto è scattata la «rete di protezione»: una sorta di servizio di spionaggio preventivo, messo in piedi con la complicità di personaggi della politica, dell' intelligence e delle forze di polizia, per conoscere in anticipo le mosse dei magistrati e prendere le contromisure.
Così, insieme a Montante, hanno subito la stessa sorte il colonnello dei carabinieri Giuseppe D' Agata, ex capocentro della Dia di Palermo e fino all' anno scorso arruolato nell' Aisi, il servizio segreto interno; l' ex poliziotto, passato alle dipendenze di Montante, Diego Di Simone; il sostituto commissario Marco De Angelis; l' ex comandante del Nucleo tributario della Guardia di Finanza di Palermo, Ettore Orfanello; l' imprenditore Massimo Romano. L' elenco degli indagati è più nutrito, e comprende l' ex direttore dell' Aisi Arturo Esposito, l' ex presidente del Senato Renato Schifani e altri ancora. L' accusa principale è associazione per delinquere finalizzata a carpire notizie riservate per favorire Montante, ma ci sono anche presunte corruzioni per orientare le indagini della Finanza a favore degli amici dell' imprenditore siciliano e contro i suoi nemici.
L' ipotesi originaria di concorso esterno in associazione mafiosa sembra sfumare: «La soglia probatoria non si è ritenuta sufficientemente acquisita», spiega il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone, che con l' aggiunto Gabriele Paci e il sostituto Stefano Luciani ha coordinato le indagini svolte dalla Squadra mobile nissena. In compenso è emersa la «rete di protezione» illegale fondata su fughe di notizie, favori in cambio di informazioni, attività di dossieraggio, accessi abusivi alle banche dati degli investigatori e altri presunti reati.
I momenti di svolta sono due: uno a febbraio 2015, quando la notizia di Montante indagato per mafia finisce sui giornali, e l' altro a gennaio 2016, dopo le perquisizioni nelle case e negli uffici dell' ex dirigente di Confindustria. Fu allora che la polizia scoprì, in una stanza nascosta da una parete mobile, l' archivio segreto di Montante, pieno di fascicoli sul conto di magistrati e altri rappresentanti delle istituzioni, da utilizzare e sfruttare in caso di necessità. Dopo le perquisizioni, il colonnello D' Agata si mostrò preoccupato in una conversazione intercettata con la moglie: «Oppure hanno trovato qualcosa che riguarda me...riconducibile a me... magari delle carte che gli ho dato, non lo so», salvo poi correggersi: «Io carte non gliene ho date», ma per gli inquirenti era solo una «risposta di comodo» alla moglie.
La Procura ritiene di aver ricostruito ogni anello della catena informativa: si parte da due funzionari di polizia (Andrea Grassi e Andrea Cavacece, quest' ultimo in forza all' Aisi, indagati ma non perquisiti nel blitz scattato ieri) si passa all' ex capo dell' Aisi Arturo Esposito, che avrebbe avvertito Montante di essere intercettato attraverso D' Agata, a sua volta informato di essere finito lui stesso sotto inchiesta, «al fine di consentire loro di prendere le dovute contromisure».
Ma in mezzo c' è pure Schifani, che avrebbe veicolato informazioni sull' inchiesta in corso attraverso la sua longa manus, il professore Angelo Cuva. Che con D' Agata parlava di un tale «Scaglione» chiamato anche «il professore», che secondo i magistrati altri non è che l' ex presidente del Senato.
EMMA MARCEGAGLIA ANTONELLO MONTANTE
Nelle intercettazioni la moglie di D' Agata dice al marito: «Se iddu(che per i pm è Esposito, ndr) ciu cunta(lo racconta, ndr) a Schifani, si sa che Schifani parla cu tia(con te, ndr)», e il colonnello conferma: «Tramite Angelo», cioè Cuva. La moglie aggiunge: «Quindi ti sta mandando a dire queste cose, ma perché non te le dice lui?». E D' Agata risponde: «Perché non vuole che domani, se esce fuori sta cosa, è lui...».
Un' ammissione di precauzioni che non sembrano essere servite. Ma Montante ha avuto rapporti con tantissime persone, e il giudice che l' ha fatto arrestare chiarisce come «siano stati concretamente agevolati da quell' immagine che Montante ha abilmente creato di sé di imprenditore votato al contrasto all' illegalità e agli ambienti di natura mafiosa»; una strategia per «entrare più facilmente in contatto con ambienti istituzionali e piegarli, laddove vi fosse stata una simile disponibilità, ai propri interessi».
L' avvocato Nino Caleca, difensore di Montante, invita alla prudenza: «Dopo quasi quattro anni non ha trovato riscontro l' iniziale ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa, e questo è certamente rilevante. Ora vengono contestati singoli fatti che nulla hanno a che fare con l' iniziale incolpazione, e nelle opportune sedi processuali Montante dimostrerà la propria innocenza anche rispetto ai nuovi reati».
ANDREA CAMILLERI ANTONELLO MONTANTE LUCA PALAMARA
3. E SCHIFANI HA GIA’ PRONTA LA DENUNCIA
Virginia Piccolillo per il Corriere della Sera
Anche Renato Schifani, l' ex presidente del Senato di Forza Italia, poi passato all' Ncd e ora di nuovo senatore berlusconiano, è indagato nell' inchiesta che ha portato ieri all' arresto dell' ex presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante.
Senatore, perché?
«Boh».
Come «boh», non sa perché è accusato assieme all' imprenditore Montante, prima ritenuto un paladino della legalità siciliana e poi indagato per mafia?
«Non ne so nulla. Non ne ho assolutamente idea. L' ho appena appreso anch' io».
Lei e Montante siete amici?
«Mai avuto un rapporto di amicizia. Era il presidente di Confindustria siciliana. C' era una semplice conoscenza. Ma non l' ho mai frequentato».
Neppure per lavoro?
«È capitato di incontrarci. E di svolgere qualche attività sulla legalità».
Legalità?
«Lui era molto impegnato nell' antimafia e insieme avevamo lavorato a un progetto premiale per le aziende».
Di che tipo?
«Si pensava di dare una sorta di bollino di legalità alle aziende che avessero superato determinati requisiti, affinché poi godessero di qualche vantaggio. Ma abbiamo fatto giusto un paio di incontri. Poi nessuna frequentazione».
E dopo?
«Nulla. Non ci vediamo da anni».
Il fatto che sia finito sotto inchiesta Montante, così in vista nella battaglia per la legalità, le suona strano o su di lui aveva avuto qualche dubbio?
«No, nessun dubbio, non so di cosa parliamo».
Di cosa si parla viene fuori nel pomeriggio, dalle carte dell' inchiesta. Montante viene accusato di aver messo in piedi una rete di informatori di altissimo livello per veicolare fughe di notizie relative alla sua indagine. E uno dei terminali, assieme ad alti funzionari di polizia e dell' intelligence, incluso l' ex capo del servizio segreto civile Arturo Esposito, sarebbe stato lui, che a fine giornata smentisce con forza: «Apprendo con stupore dell' indagine a mio carico riguardo una mia presunta condotta, che è assolutamente inesistente.
<Mi riservo, piuttosto, di denunciare per millantato credito chi per ipotesi mi ha coinvolto e fin d' ora sono a disposizione dell' autorità giudiziaria per comprendere meglio la vicenda e avviare tutte le iniziative opportune, al fine di tutelarmi da un' accusa palesemente infondata. Rivendico che non ho mai avuto alcuna frequentazione a dimostrazione dell' assoluto disinteresse nei confronti di quest' ultimo».
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