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Carmelo Lopapa per "la Repubblica"
ADESSO uno dà del «povero disgraziato» all'altro e quello lo liquida come un «senza palle». Ma è un'insofferenza che parte da lontano, quella tra Angelino e Marcello, storia di due cordate contrapposte, idillio mai nato e finito ora malamente alla corte del Cavaliere. E tutto partito nella comune natia Sicilia. Tanto che se proprio a insulti doveva finire, i due avrebbero preferito - Dell'Utri soprattutto - scambiarseli in dialetto.
Magari Alfano e Dell'Utri si sarebbero infamati a colpi di «minchione» e di «nuddu mischiato cu' nienti». E non sul salottino bianco di Porta a Porta, come ha osato invece in un attacco di bile il segretario Pdl, per di più in assenza dell'avversario in studio.
Certo è che la levata di scudi del segretario ha tutto il sapore della «lesa maestà ». Perché tutti sanno - e lo stesso Marcello Dell'Utri non ne ha fatto mai mistero - quanto l'amicizia del senatore palermitano stia a cuore al Presidente.
Quanto negli anni Berlusconi sia stato generoso e riconoscente per quella amicizia e cotanta fedeltà . Un rapporto sul quale i magistrati da qualche tempo hanno anche pensato di dover accendere qualche riflettore. Ma tant'è. La scintilla l'ha accesa proprio il senatore. Che sabato in un'intervista a questo giornale aveva definito il segretario e mancato candidato premier un «poveretto». La sua segreteria, aveva spiegato, «semplicemente non è mai esistita, non ha rinnovato».
Avrà tempo per crescere e maturare. Alfano se l'è legata al dito. Prima, domenica sera, nel vertice ad Arcore se n'è lamentato personalmente con Berlusconi. Non pago, ieri sera l'ha sparata e articolata e argomentata davanti agli spettatori di Vespa, chiamando in causa pure la storia delle liste pulite.
«Molti dei guai del nostro partito derivano anche da soggetti come Dell'Utri» è stato l'esordio: «Un povero disgraziato per quello che gli sta succedendo e parla a ruota libera facendo credere che le sue parole siano i pensieri di Berlusconi». Infine l'affondo, rivolto proprio al capo: «Si dovrà porre con grande serietà il problema di composizione delle liste, penso occorra riflettere molto bene sulla modalità della loro formazione perché su questo ci sarà il giudizio dell'opinione pubblica».
Marcello non è uomo che incassa. E replica in pochi minuti via agenzie: «Ho già detto chiaramente quello che penso del segretario, un povero disgraziato l'ho detto io prima di lui e lui mi risponde con le stesse parole? Ho detto meno di quello che penso. Alfano si è già qualificato da sé, i guai del Pdl, purtroppo vengono tutti dalla sua incapacità , dalla sua insipienza. Non ha le palle, non c'entra niente con noi».
Che poi, detta da siciliano a siciliano, con linguaggio arcaico, sarebbe l'accusa più pesante. Essere «fuori», un intruso, niente a che fare con «noi». Meglio, «la distanza da lui mi onore» twitterà in serata l'ex Guardasigilli prendendo le distanze anche col mezzo utilizzato per la replica.
Cordate diverse, certo. Marcello e il suo pupillo Micciché, da una parte. Angelino e il suo "padrino" Renato Schifani, dall'altra. Berlusconi che - complice Dell'Utri, dicono - chiude l'accordo per candidare l'ex ras del 61-0 alle regionali sicule di ottobre. Alfano che fa saltare l'accordo. E perde. «Io l'intesa per vincere in Sicilia l'avevo raggiunta - tuonò l'indomani il Cavaliere furente - se qualcuno l'ha affondata facendoci perdere non è colpa mia».
Ma in quei giorni, il feeling tra il leader e il delfino si era già rotto. Che poi, a volerla dire tutta, era stato Micciché (e dunque Dell'Utri) negli anni Novanta a portare Alfano alla
corte dell'ex premier. «Oggi che sta lavorando per fregare Berlusconi - ha confessato Micciché davanti alle telecamere Rai il 2 dicembre - mi pento di averglielo presentato».
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