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Liana Milella per "la Repubblica"
Decisione "storica" della Cassazione sui condannati definitivi per droghe leggere. Potranno chiedere ai giudici di ricalcolare la pena e rispettare così, evitando disuguaglianze incostituzionali, la sentenza della Consulta del 12 febbraio che ha fatto rivivere la legge Jervolino-Vassalli contro la ben più severa Bossi-Fini (da 2 a 6 anni la prima, da 6 a 20 la seconda).
Sezioni unite, alla guida il primo presidente della Cassazione Giorgio Santacroce, relatore il segretario generale Franco Ippolito, una sentenza destinata a cambiare anche il prossimo futuro delle nostre carceri, perché la possibilità di ricalcolare la pena potrebbe far uscire di cella tra i 3 e i 4mila detenuti.
Una stima prudente rispetto a quella di chi, come il coordinatore dei garanti dei detenuti Franco Corleone, ipotizza che si possa arrivare fino a 10mila. Il primo "graziato" comunque è il Guardasigilli Andrea Orlando, alle prese proprio in questi giorni con la Corte europea di Strasburgo e la prossima risoluzione sul sovraffollamento carcerario.
Il ministro della Giustizia già vede una sentenza che «inciderà in modo significativo» e soprattutto che consentirà «un'uscita dall'emergenza anche più rapida di quello che prevedevamo». Sarebbe sbagliato leggere il passo della Cassazione solo in chiave strumentale rispetto all'annoso problema delle carceri e alle multe milionarie contro cui, peraltro, l'Italia si sta già attrezzando con un piano che ha già ridotto il limite dei 3 metri quadri per detenuto, all'origine del ricorso in Europa.
à fondamentale invece analizzare il passo dei supremi giudici dal punto di vista strettamente giuridico. Non a caso, il direttore del Massimario della Corte Giuseppe Maria Berruti parla di una decisione che «mette l'Italia al passo con la giurisprudenza di Strasburgo e con la Carta dei diritti dell'uomo». La Cassazione da "vivere" l'altrettanto storica sentenza della Consulta che ormai quattro mesi fa ha sbarrato la strada alla
legge Bossi-Fini nella parte in cui equipara droghe leggere e pesanti in un'unica e gravosa pena, quella da 6 a 20 anni.
Da quel momento, la questione dei condannati e dei detenuti per una legge che, di fatto, non esisteva più, è diventato pressante per tutti i giudici italiani. Come dice Luigi Manconi, presidente Pd della commissione Diritti umani del Senato, «ancora una volta la magistratura provvede là dove la politica non fa, o tarda a fare». Perché è
fin troppo evidente che, dopo il passo della Consulta, sarebbe stato necessario adeguare la legge con un intervento rapidissimo che non c'è stato.
Adesso arrivano le sezioni unite della Cassazione con una sentenza che vale molto più di una legge. Passo giuridicamente storico perché, d'ora in avanti, le condanne definitive non dovranno più essere considerate del tutto intoccabili. All'opposto, come in questo caso, se interviene una novità giuridicamente determinante, esse potranno, anzi dovranno, essere rivisitate.
Un diritto inalienabile per il condannato che potrà sfruttare non solo la regola del favor rei (si applica sempre la legge più favorevole all'imputato), ma anche quella della parità di trattamento, rispetto a un fatto identico o simile, tra chi è stato condannato prima della sentenza della Consulta sulla Bossi-Fini e chi anche solo un giorno dopo.
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