CHIARA IN VOLO (FOTO!) - SULL’AEREO GENOVA-ROMA, LADY MATACENA S’INFERVORA CON GLI AGENTI DELLA DIA CHE L’ACCOMPAGNANO: “DOVEVO AIUTARE MIO MARITO. NON HO MAI FATTO NULLA DI ILLEGALE E NON SONO L’AMANTE DI NESSUNO..”

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Matteo Indice per "Il Secolo XIX" - Foto di Matteo Indice

Volo AZ 1386 Genova-Roma. La mano destra si muove di scatto, quasi colpisce l'agente della Dia che le sta accanto, posti 1D e 1B. E il pugno di Chiara Rizzo si apre, un dito dopo l'altro a snocciolare quelli che su quest'aereo sono già i capisaldi della sua difesa: «Primo, i miei figli». «Secondo, eravamo senza soldi». E via di seguito, convinta che almeno qui si possa parlare in libertà.

Se una cosa emerge chiara ascoltando alcune delle frasi che lady Matacena non riesce a trattenere (sebbene spesso porti la bocca vicinissima all'orecchio del suo interlocutore, quando l'argomento è troppo "riservato") è che difende a spada tratta quanto compiuto nell'ultimo anno: la necessità di «aiutare mio marito», perché per prima viene sempre «la famiglia». Soprattutto, se le argomentazioni a un certo punto languono, c'è sempre un ottimo «non potevo fare altro».

A meno che i suoi difensori non la inducano a un approccio differente, la donna che attraversa l'Italia in volo per raggiungere Reggio Calabria ed essere reclusa in un carcere italiano, non è tornata per chiedere scusa. Chiara Rizzo nomina più volte l'ex ministro dell'Interno Claudio Scajola, lo chiama sempre e solo «Scajola», usando esclusivamente il cognome. E a un certo punto sbotta: «Mi serviva aiuto...In questa storia la gelosia non c'entra niente!».

Lo aveva ribadito pure nei giorni scorsi, raggiunta al telefono dal Secolo XIX , quando ancora si trovava a Dubai insieme al marito Amedeo (ex parlamentare del Pdl latitante per mafia): «Io l'amante di Scajola? Solo cattiverie per infangarci». Quindi il passaggio riservato alle insinuazioni su una recente liaison con il costruttore Francesco Bellavista Caltagirone: «Cattiverie, lo so che qualcuno le stava già mettendo in circolazione per infangare mo marito e la sottoscritta».

La giornata s'era aperta con il trasferimento dal carcere di Marsiglia (l'avevano fermata domenica 11 appena sbarcata da un volo Emirati-Nizza) al valico di Ponte San Luigi, a ridosso di Ventimiglia. E con la presa in consegna delle forze dell'ordine italiane: occhiali da sole, maglia chiara, jeans, trolley Louis Vuitton e la misteriosa valigia avvolta dal nylon, con un biglietto di carta a indicare un numero. Poche frasi giusto a far capire che non se l'era passata bene, nei penitenziari d'Oltralpe: «Voglio stare con voi», ha detto ai poliziotti, abbassando poi gli occhi davanti alle domande dei cronisti (la stessa cosa che farà più tardi scesa dalla scaletta a Fiumicino).

Da lì in poi inizia la fase più delicata, per le autorità italiane, nell'accompagnamento di quella che è a tutti gli effetti una detenuta. Eppure si materializza- di fatto - il passaggio in cui la moglie dell'ex imprenditore-politico che Scajola stava aiutando a lasciare gli Emirati per raggiungere il Libano, allenta la tensione. E si lascia un po' andare con gli stessi investigatori che la stano portando in galera per farla interrogare nelle prossime ore dal giudice.

Entra da sotto, Chiara Rizzo, senza seguire la coda dei passeggeri normali. Tutta la prima fila è stata riservata alla Direzione investigativa antimafia (sono in quattro a bordo) e alla donna che tiene le gambe accavallate e muove nervosamente un piede, i polsi liberi dalle manette. Non smette mai (mai) di confabulare con il poliziotto che le sta accanto, le frasi serrate che sovente si percepiscono a qualche decina di centimetri, inframezzate da risate soft e qualche exploit.

Come quando la hostess, in decollo, chiede di consegnare le borse per sistemarle negli armadietti sovrastanti. Mentre gli agenti trattengono le proprie valigette, lei allunga la sua d'istinto: «Sì certo - la voce più marcata - nessun problema, non c'è niente di segreto». Gli occhi cerchiati, Chiara Rizzo chiede un bicchiere d'acqua e di tanto in tanto s'infervora: «Ho chiesto aiuto a chi potevo». La mano destra che si agita, il dito mosso come a tenere il punto. «Mio figlio ha quindici anni, si è ritrovato senza un padre e con me in condizioni economiche difficili».

È un altro di quei frangenti nei quali guarda davanti, prima di compensare lo sfogo con una frase sussurrata: «E' così...», il resto si fa oggettivamente incomprensibile. Di certo, alla vigilia d'interrogatori che si profilano tutt'altro che leggeri, nel momento più "privato" e senza avvocati o cronisti intorno, non deraglia dalla linea combattiva che aveva lasciato intravedere parlando brevemente da Dubai: «La prova della mia fede è nei tempi stretti con i quali faccio tutto per tornare in Italia».

Di nuovo il movimento delle dita dalla mano chiusa (primo, secondo, terzo...) che Chiara Rizzo compie più volte. Quarto: «Io non scappo». Quinto: «Sarei comunque tornata». Diceva: «Io non ho fatto nulla d'illegale e mai ho chiesto a qualcuno di fare qualcosa d'illegale». Dice oggi, mentre l'aereo inizia l'atterraggio verso Fiumicino: «Pensavo che fare così non fosse tanto grave. E mica potevo non aiutarlo». Il carrello si abbassa e il rumore è molto forte: «Ci manca succeda qualcosa proprio adesso che sono finalmente in Italia».

La fanno scendere per prima, fotografi e auto apparecchiati sulla pista come nel giorno dei primi arresti, hostess a un certo punto infastidita: «Vabbè, si sbrighino, mica possiamo bloccare tutti i passeggeri...». Lady Matacena si è ripresa la borsa ma tutti si sono dimenticati la valigia tutta fasciata, quella con il misterioso numero. L'agente risale di corsa, stoppa ancora la discesa degli "altri" : «Fermi, la valigia è rimasta nell'armadietto». La prende, lampeggianti, è finito solo metà viaggio. Lady Matacena è tornata per difendersi.

 

 

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