DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Lorenzo Lamperti per “la Stampa”
«È una sfida sistemica alla pace e alla stabilità nel mondo». A parlare non è Jens Stoltenberg in riferimento alla Cina, ma è Zhao Lijian in riferimento alla Nato. Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha fatto il verso al nuovo concetto strategico annunciato dall'Alleanza Atlantica, nel quale per la prima volta si cita esplicitamente la Repubblica Popolare definendola appunto una «sfida sistemica».
joe biden conferenza stampa vertice nato madrid 1
Formula utilizzata ieri anche da Joe Biden. Si tratta dell'ultimo passo di una relazione in caduta libera. La Cina addossa da mesi le responsabilità della guerra in Ucraina all'espansione verso est della Nato. Una retorica che le è funzionale nel giardino di casa. Il perché lo ha chiarito ieri sempre Zhao: «Afferma di essere un'organizzazione difensiva e regionale» ma «lancia guerre ovunque, uccidendo civili innocenti».
Nella narrativa cinese è la Nato che, dopo aver esasperato i «legittimi» timori legati alla sicurezza della Russia, getta «benzina sul fuoco» sul fronte orientale, «allungando i tentacoli all'Asia-Pacifico» e «fomentando il confronto». Il messaggio è implicito ma molto chiaro: «Se attaccheremo qualcuno dei nostri vicini è perché saremo costretti a farlo e dunque non sarà colpa nostra».
Il governo cinese accusa invece esplicitamente la Nato di «ignorare i fatti» e di «infangare la politica estera della Cina con affermazioni irresponsabili sul normale sviluppo militare». Lo stesso lessico utilizzato per attaccare il comunicato finale del G7 dei giorni scorsi. L'ambasciatore cinese presso le Nazioni Unite, Zhang Jun, ha invece ripetuto un vecchio mantra di Xi Jinping, vale a dire che la Nato «reitera una sorpassata mentalità da Guerra fredda».
Escalation retorica inevitabile, agli occhi di Pechino, per rispondere a quella che ritiene una provocazione inaccettabile: l'inclusione al summit di Madrid dei suoi vicini asiatici. Giappone e Corea del Sud, oltre ad Australia e Nuova Zelanda, hanno infatti preso parte ai lavori per la prima storica volta coi loro leader. Il primo ministro giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol si sono anche parlati e promessi di riavviare la cooperazione (anche in materia di sicurezza) dopo lo scontro diplomatico degli ultimi anni che aveva favorito l'ampliamento quasi indisturbato dell'influenza cinese nella regione.
Uno scenario in rapido cambiamento, con Pechino che teme di restare imbrigliata in un'impalcatura di sicurezza che connetta sempre di più Atlantico e Pacifico, democrazie occidentali e democrazie asiatiche. Tokyo ha abbandonato da tempo la tradizionale diplomazia felpata e il premier Kishida ha connesso l'invasione russa dell'Ucraina ai rischi di espansionismo cinese in Asia. Se per Washington la Russia è uno tsunami, la Cina è il cambiamento climatico. La vera sfida.
O almeno questo è il messaggio che arriva al Partito comunista, che affila le armi. Quelle militari e quelle propagandistiche. Nella prima categoria rientrano la nuova portaerei Fujian e le costanti pressioni dell'esercito cinese su Taiwan, ma anche quelle in continuo aumento sul Giappone. La scorsa settimana una flottiglia cinese ha completato la circumnavigazione dell'arcipelago nipponico, passando per i suoi stretti strategici, mentre i jet da guerra dell'Esercito popolare di liberazione fanno sempre più di frequente capolino intorno alle isole contese Senkaku/Diaoyu e a Okinawa.
E spesso, come accaduto durante il recente summit del Quad di Tokyo, il territorio giapponese era stato lambito da un'esercitazione congiunta di mezzi navali cinesi e russi. Nella categoria delle armi retoriche rientra invece l'enfasi data alla possibilità di allargamento della piattaforma dei BRICS. I media di Stato cinesi hanno celebrato la domanda di ammissione avanzata da Iran e Argentina come segnale della volontà dei paesi in via di sviluppo di perseguire una «cooperazione pacifica» e «non divisiva». Ci sono poi anche le armi economiche.
Come rivelato da Reuters, il più grande produttore di cemento dell'India, UltraTech Cement, ha importato un carico di carbone russo pagandolo con yuan cinesi. Un metodo di pagamento raro ma che può diventare una scappatoia messa in pratica da Pechino e Nuova Delhi per perseguire i propri interessi, con l'effetto di garantire un'ancora di salvataggio per Mosca schermandola dalle sanzioni. Il tutto promuovendo l'internazionalizzazione della moneta cinese e provando dunque a perseguire la dedollarizzazione desiderata da Vladimir Putin.
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