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1. “CLINTON NEGLIGENTE MA NON C’È REATO”
Alberto Flores D’Arcais per “la Repubblica”
Per il direttore dell’Fbi nessun procuratore «ragionevole» porterebbe Hillary davanti a un giudice, per Donald Trump invece è l’ennesima dimostrazione che il sistema «è corrotto». Nel giorno in cui Barack Obama scende ufficialmente in campo al suo fianco, per la signora Clinton — candidata democratica ( in pectore) alla Casa Bianca — ci sono gioie e anche qualche dolorino.
Dal quartier generale della “Clinton Machine” gli spin doctor dell’ex First Lady ostentano sicurezza, ma la vicenda delle email private, che ieri ha raggiunto il suo apice con la conferenza stampa del capo del Federal Bureau James Comey, rischia di condizionare ancora a lungo una campagna elettorale che dopo le due Convention (nella seconda metà di luglio) entrerà nella sua fase finale e decisiva.
Dall’Fbi arriva un’assoluzione che è tale solo in parte. Perché se le parole di Comey hanno fatto tirare a Hillary un bel respiro di sollievo (se l’Fbi ne avesse chiesto l’incriminazione sarebbe stato un guaio serio) il fatto che l’uso delle sue email private sia stato definito «estremamente negligente» lascia una bella ombra sul comportamento da lei tenuto quando era Segretario di Stato nella prima Casa Bianca di Obama. Gli agenti del Bureau non hanno trovato «alcuna prova dell’intenzione di violare la legge» (sabato scorso la ex First Lady è stata interrogata per tre ore e mezzo).
Ma il solo fatto che l’Fbi abbia dovuto «lavorare migliaia di ore» (Comey ha anche detto che «sono state recuperate migliaia di mail non consegnate» dall’ex Segretario di Stato) sui diversi server e dispositivi elettronici usati da Hillary Clinton tra il 2009 e il 2013 e che ne abbia individuato 110 email che contenevano «informazioni classificate» (cioè segrete), non è comunque un bel biglietto da visita per chi vuole sedersi nello Studio Ovale per guidare la superpotenza del pianeta Terra. Soprattutto se si considera il possibile accesso di hacker (e quindi di eventuali agenti nemici o semplicemente stranieri) a quelle comunicazioni che dovevano restare riservate.
Hillary e i suoi esultano («siamo contenti che questo problema sia stato risolto»), gli attacchi di Donald Trump erano scontati («il sistema è corrotto »), ma il vero problema per Hillary è la reazione dei vertici del Grand Old Party per bocca di Paul Ryan. «Questo annuncio richiede una spiegazione. Nessuno dovrebbe essere sopra la legge». Da domani i repubblicani sapranno come attaccarla.
2. TRENT’ANNI DI INDAGINI FRA SESSO, POTERE E DENARO ECCO L’ULTIMO SCANDALO DEGLI INOSSIDABILI BILLARY
Vittorio Zucconi per “la Repubblica”
Come in un infinito Giorno della Marmotta clintoniano, dove scandali, inchieste, processi e accuse sprofondano e riaffiorano da decenni, Hillary Clinton sopravvive come faceva il marito a un’altra inchiesta micidiale che l’avrebbe potuta stroncare. È salva, la signora che punta alla presidenza degli Stati Uniti, in attesa del prossimo scandalo che inesorabilmente investirà lei e lui, coppia irresistibile, infrangibile e inaffondabile.
Il caso della posta elettronica che da segretaria di Stato inviava utilizzando anche per messaggi confidenziali un server privato messo in funzione solo per lei, anziché quello ufficiale del governo, chiaramente non fidandosi delle gole profonde che brulicano nell’amministrazione, è “Vintage Clinton”.
È un classico nella storia di questa coppia che si è dimostrata nel tempo saldata da un sentimento ben più forte di amori, sesso, passioni, corna, gelosie: l’ambizione divorante. In esso, in quella penombra di violazioni non proprio criminose, di scorciatoie non esattamente illegali, di verità non proprio vere, Bill e Hillary si muovono dagli anni dei primi successi elettorali di lui nell’Arkansas con la sicurezza un po’ strafottente di chi sa di uscirne comunque indenne.
L’elenco dei “Gate”, come dagli Anni ’70 vuole la desinenza obbligatoria di ogni scandalo che ha mordicchiato lo Studio Legale Billary, Bill e Hillary, senza sbranarlo, produce un vago senso di vertigine. Whitewatergate, Troopergate, Travelgate, Jonesgate, Brodderickgate, Fostergate, Monicagate, Bengasigate e ora Emailgate sono le tappe delle loro carriere parallele che periodicamente gli avversari — il “Vasto Complotto della Destra”, come Hillary lo definì nel 1998 quando il marito fu scoperto a insudiciare gli abitini della stagista Lewinsky — gli rovesciano addosso, approfittando delle occasioni che i Clinton generosamente offrono.
Alcuni sono platealmente immaginari, come il Fostergate, la tragedia del legale della Casa Bianca che si uccise in un parco di Washington e del quale si disse, per par condicio, che fosse l’amante di Hillary, ucciso da hitman inviati dalla signora. Altri, come il Troopergate, la testimonianza poi ritrattata di un poliziotto dell’Arkansas che disse di avere avuto l’incarico di procurare prostitute al governatore Bill, non hanno retto. E il più feroce di tutti i “Gate”, l’affaire Lewinsky, fu domato soltanto con la frusta della politica, quando i senatori del partito democratico votarono per assolverlo dall’impeachment per falsa testimonianza.
Una cottage industry, un’industria dello scandalo, è nata e ha prosperato, con i finanziamenti di miliardari ultraconservatori decisi a demolire la coppia, spendendo milioni per frugare in ogni dettaglio della vita, prima di lui, notoriamente gran cacciatore di sottane, e ora di lei, erede dello Studio Ovale designata dal marito e, proprio oggi, investita dal presidente Obama nel primo comizio al suo fianco.
Dove non arrivavano i finanziamenti, o taglie, che gli avversari offrivano ai cronisti che avessero scovato qualche magagna, arrivava la spregiudicatezza dei coniugi indifferenti ai sospetti di conflitti di interesse fra pubblico e privato.
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