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COI SAPELLI DRITTI! - ''INCONTRAI SALVINI ALL'UNIVERSITÀ, MOLLÒ PER IL DEMONE DELLA POLITICA''. E QUALCHE ANNO DOPO GLI OFFRÌ IL RUOLO DI PREMIER: ''LO SPREAD VIENE USATO COME UNA CLAVA, MA QUESTO E' UNO DEI GOVERNI PIU' SOLIDI'' - L'INCREDIBILE VITA DELL'ECONOMISTA, PERITO GRAFICO, MILITANTE COMUNISTA, IMPIEGATO ALL'OLIVETTI, SINDACALISTA, PROFESSORE UNIVERSITARIO. È ENTRATO E USCITO DA OLIVETTI, ENI, FERROVIE, MPS, AUTOSTRADE LOMBARDE: ''SI SONO DIMESSI TUTTI PER CACCIARMI''

Luca Telese per ''La Verità''

 

«Il ragazzo era intelligente - e si vedeva - ma incostante».

 

In che senso, professor Sapelli?

GIULIO SAPELLI

«Di quegli studenti che un giorno accendono una lezione con domande brillanti e quello dopo non ci sono più. Che prendono un 30 ma poi saltano una sessione. Mi aveva chiesto la tesi. E io, dopo qualche esitazione, avevo deciso di affidargliene una importante, su Adriano Olivetti».

 

E poi cosa succede?

«Che lui si presenta da me e mi dice: "Professore, io in questa sessione non riesco a laurearmi". Gli chiedo stupito: "Ma perché, è successo qualcosa?". E lui: "Professore, nulla di grave. Ma ho il demone della politica"».

 

 

E lei?

«Gli dico: "Senta Salvini, è una malattia che abbiamo avuto in tanti. Segua il mio consiglio: prima si laurei, poi faccia tutta la politica che vuole"».

 

Cosa le rispose?

«Sa in che partito sono impegnato? Non me lo chiede?».

 

 

E lei?

«Non dipende dal partito.

Tra la politica e la mia cattedra c' è un muro. Del partito non importa, mi importa di lei».

 

E che lezione ne ha tratto?

GIULIO SAPELLI

«(Sorriso). Mai dare consigli nella vita».

 

Forse, se Matteo Salvini avesse seguito il suo professore di allora, Giulio Sapelli, non sarebbe diventato leader della Lega. E - forse - non si sarebbe potuto togliere la soddisfazione di offrirgli, l' estate scorsa, la poltrona di premier (poi fermata da un veto di Di Maio).

 

Così Sapelli - professore, economista, saggista - non è andato a Palazzo Chigi, è rimasto un libero e arguto pensatore e può permettersi di dire la sua: «Lo spread oggi viene usato politicamente, come una clava. Ma i mercati non guardano solo al debito, quanto alla stabilità dei governi. Credo che il nostro sia uno dei pochi che in Europa non balla».

 

Professor Sapelli, lei da dove viene?

«Dal basso, con orgoglio. Mio padre era rimasto orfano a 2 anni. Aveva fatto la guerra d' Africa, e nel dopoguerra lavorava come operaio fotoincisore».

 

Orfano?

«Mio nonno, ferroviere, era morto nel 1922. Picchiato da una squadraccia fascista e gettato da un treno».

 

E sua nonna?

«Faceva la dama di compagnia ai conti Conzani. Curiosa la vita, no? Dopo la guerra, la pensione dei martiri antifascisti le cambiò la vita».

 

GIULIO SAPELLI

Fece studiare suo padre?

«Aveva fatto l' avviamento professionale. I miei decisero che avrei avuto lo stesso destino».

 

Va a lavorare presto?

«A 15 anni: perito grafico e fotografico, anche io».

 

Poi che succede?

«Un sacerdote, don Rossi, parlò con mio padre e gli disse: "Il ragazzo ha delle qualità, fatelo studiare"».

 

E lui accetta?

«Litiga con mia madre, siciliana. Mi mandano nell' altra stanza, lei dice: "Faccia l' operaio, o si monta la testa!"».

 

E chi glielo raccontò?

«In quelle case popolari di Torino, via Sant' Anselmo 18, i muri erano di carta velina».

 

un giovane matteo salvini

Ha sentito tutto?

«Certo! Condividevamo i servizi, ovviamente in balcone, con il signor Marengo. Non c' erano segreti».

 

Alla fine chi vince?

«La Chiesa. Don Rossi si mette a farmi ripetizioni, e io faccio da privatista le medie».

 

In un anno?

«Sì. Quello dopo prendo il diploma tecnico e magistrale.

Nel frattempo lavoro».

 

Incredibile.

«Altri tempi, altre motivazioni. Divento anche militante comunista. Nel 1964 mi laureo in economia col massimo dei voti. Ho un solo problema: la balbuzie, che mi tormenta».

 

Cattolico e comunista?

«Oh, sì. Prima di iscrivermi mi consulto con il cardinal Pellegrino».

 

E cosa le dice? Di no, immagino...

«Macché. "Ti sei comunicato?". Gli rispondo di sì. E lui: "Allora iscriviti dove vuoi". Nel 1965 divento anche funzionario della Cgil».

 

Ma la sua vita cambia ancora nel 1966.

«Vengo assunto in Olivetti. Penso di fare un salto epocale, invece appena arrivo l' ingegner Felicioli mi manda a contare le schede perforate per 6 mesi».

un giovane matteo salvini

 

Un dramma?

«Una grande prova: impegno, serietà e umiltà. Ero molto bravo in matematica, in breve passo alle statistiche».

 

E il sindacato?

«Una scuola di vita, con maestri del calibro di Emilio Pugno e Sergio Garavini. Il quale, un giorno, mi restituisce anche la parola. Durante un' affollata assemblea di quadri, a una mia raffica di balbettii la sala era esplosa a ridere».

 

E che succede?

«Mi fermo, pietrificato. Si alza Garavini: "Il primo che ride avrà a che fare con me"».

 

E lei?

«Ho ripreso il mio discorso e non ho mai più tartagliato per tutta la vita».

Impossibile.

«Oggi me la spiego così: quel giorno mia madre non aveva creduto in me, marchiandomi con un' insicurezza esistenziale. E Garavini, cedendo in me, me l' aveva cancellata».

 

E all' Olivetti che succede?

SAPELLI

«Un giorno Franco Momigliano, capo del personale, entra nella nostra stanza e fa: "Chi di voi sa l' inglese? Devo andare in Giappone"».

Immagino che tutti avessero risposto «sì».

«No. Erano economisti, parlavano francese e tedesco. Io invece, grazie all' inglese, viaggiai con lui e strinsi un rapporto bellissimo».

 

Senza mollare l' università?

«Studio con Castronovo, Quazza e Salvadori, a cui ho dedicato un libro. Divento contrattista. Poi direttore del Gramsci».

 

Stringe rapporti con Saverio Vertone, Giuliano Ferrara...

«Di cui divento amico. Nel 1980 firmo con lui il famoso documento in cui invitiamo gli operai a denunciare i brigatisti: ci arrivano insulti di ogni tipo e minacce di morte».

 

enrico cuccia x

Poi ve ne andate entrambi.

«Per motivi diversi. La mia anima cattolica va in fibrillazione sul divorzio. Quando il Pci sostiene anche l' aborto non mi sento più a casa mia».

 

Nel 1980 cambia lavoro.

«Divento direttore della fondazione Feltrinelli. Il professor Del Bo lascia scritto in una lettera alla moglie: "Il mio erede deve essere Sapelli". Ci resterò fino al 2000».

 

Si dedica agli annali.

«E stringo rapporti intellettuali importantissimi. con Giuliano Procacci. Con Leo Valiani, che collaborava a Mediobanca, conosco Cuccia. Ogni mattina passava alla Feltrinelli. Mi regalava taccuini, ascoltava, parlava pochissimo».

 

Di cosa?

«Mi raccontava di Beneduce. Mi spiegò perché era convinto che "in Italia l' unica possibilità era far esistere il capitalismo senza capitali"».

 

Si riavvicina alla Cisl.

«Sì. Ero anche disgustato dai gruppuscoli, ho conosciuto troppi ragazzetti in cachemire che svaligiavano le armerie. Non tolleravo i cortei per Stalin e Mao».

 

ALBERTO BENEDUCE

Lei era stato amendoliano.

«Ma anche trotzkista e bordighista».

 

Cose complicate da spiegare oggi?

«Ero compiutamente socialdemocratico e antiestremista. Io gli studenti del Sessantotto li avrei fatti picchiare dagli operai della Fiat».

 

Lei ha insegnato in tutto il mondo.

«Avevo la cattedra a Trieste. Sono stato Fellow alla London School in Inghilterra. Professore all' Ecole des hautes etudes in Francia. Dal 1975 collaboro con l' Eni grazie a Luciano Gallino. Poi nel 2002 entro, chiamato dal professor Umberto Colombo».

 

Che votava allora?

«Dopo il Pci non ho più votato. Ma divento intellettuale organico della Cisl».

 

Anche l' Eni è un mondo.

«Stringo rapporti di amicizia e stima professionale con Federico Caffè, Giuliano Amato , Gino Giugni, Paolo Sylos Labini».

luciano gallino

 

E poi si ritrova commissario di Monte dei Paschi di Siena. Una bella rogna.

«Il sindaco Piccini voleva governare lui la banca e mettermi in minoranza. Io mi sono alleato con l' arcivescovo. La curia aveva un posto nel cda, ma chi comandava erano socialisti e massoneria».

 

Incredibile. Poi Ferrovie.

«In età cimoliana. Ho un buon ricordo di Cimoli, ma votai contro la sua liquidazione».

 

La odierà per questo?

«Non credo. È un uomo di mondo».

federico caffe e sylos labini

 

E poi?

«Ho fatto il presidente di Meta. Volevo fare una grande multiutility sui rifiuti, ma sono stato sconfitto dalla politica».

 

Poi Unicredit corporate banking.

«Dove abbiamo fatto un codice per l' uso dei derivati utile ancora oggi».

 

Il problema del secolo.

«Io li ho visti nascere. Sono stati il più catastrofico errore del mondo. Su cui ha scritto un saggio, The end of alchemy, il professor Mervyn King. Anche oggi sono sempre più un pericolo per le economie reali».

 

Poi c' è stata l' esperienza all' Asam: Autostrade lombarde.

«Volevo gestirle su un modello americano, come un ente non profit. Ma ancora una volta i politici avevano altre idee. Poi (Risata). Si sono dimessi tutti per cacciarmi».

 

Tanti incarichi ma anche tante dimissioni.

«Ho questo carattere. O faccio le cose come voglio o non le faccio. E non ho mai preso stock option».

 

Le sarebbe piaciuto fare il premier?

«Quello di Salvini è stato un invito per amicizia e stima. Ma si vede che non era il tempo, amen».

GIANCARLO CIMOLI

 

Che giudizio dà sulla manovra?

«Positivo. Avrei fatto più investimenti per le imprese, ma è una manovra sostanzialmente socialdemocratica».

 

E il rischio spread?

«Conosco gli investitori: conta il debito, certo, ma anche la stabilità dei governi. Gli spagnoli solo traballanti, i britannici non ne parliamo. La Merkel è a fine ciclo.

Avete mai pensato che quello italiano è l' unico governo stabile?».

 

E un consiglio lo vuol dare?

«Certo. Fate meno sparate contro l' Ue. Le cose vanno dette dopo averle realizzate».