DAGOREPORT - CON UN MINISTRO DEGLI ESTERI (E UN GOVERNO) ALL'ALTEZZA, CECILIA SALA NON SAREBBE…
DAGOSPIA AVEVA SVELATO L'SMS DI CASALEGGIO AI SUOI ''NON MI FIDO DEL PD
L' ALTOLÀ DEI FEDELISSIMI DI CASALEGGIO PRESSING SU DI MAIO PER LE ELEZIONI
Federico Capurso e Ilario Lombardo per ''la Stampa''
Quando Luigi Di Maio legge le dichiarazioni di Nicola Zingaretti - che apre a «soluzioni condivise», pur facendo notare che «l' Italia non capirebbe un rimpastone del governo che è caduto» - intorno a lui cresce un certo nervosismo. La risposta del capo politico del Movimento arriva pochi minuti dopo e non è una mano tesa, ma uno schiaffo: «La soluzione è Conte premier e i dieci punti elencati al Quirinale. È assurdo. Non possiamo restare fermi per i dubbi o le strategie del Pd».
Ci sono ancora 48 ore di trattativa davanti, prima di tornare al Quirinale con una risposta, ma Di Maio ha paura che Zingaretti intenda aspettare fino all' ultimo per sfruttare le lacerazioni che si stanno aprendo nel Movimento. Ecco perché il capo dei Cinque stelle ha una sensazione più forte delle altre: frenando sui tempi rimarrà schiacciato; accelerando potrebbe invece riuscire a chiudere prima del tempo l' accordo sul premier, sfuggendo alle pressioni che lo stanno mettendo all' angolo.
LUIGI DI MAIO E DAVIDE CASALEGGIO
Il timore di Di Maio che intorno a sé molto si stia muovendo senza che lui abbia davvero il controllo trova una prima conferma già in mattinata. Voci insistenti arrivano da dentro il Movimento fino all' orecchio del capo. Lo dipingono come un doppiogiochista: si starebbe impuntando su Conte per mettere in salita la trattativa con il Pd e poi puntare a scalzare il premier proponendo se stesso a palazzo Chigi. Di Maio è furioso.
Nella girandola di telefonate assicura ai suoi colonnelli e allo stesso Conte che si tratta solo di fantasie ma nel Movimento c' è un' ambiguità di fondo che rende difficile ogni cosa. Se il gruppo parlamentare spinge per trovare un accordo, gli uomini più vicini a Di Maio tifano perché si torni al voto. Tra di loro ci sarebbero i più vicini collaboratori del leader, tra cui Pietro Dettori, Alessio Festa, Massimo Bugani, Cristina Belotti; in altre parole, l' emanazione di Davide Casaleggio a Roma.
Ed è anche per questo che lo Stato maggiore grillino è perplesso quando vede Zingaretti impegnato tra vertici e conferenze stampa, mentre Di Maio va al mare a Palinuro in compagnia della fidanzata Virginia Saba.
L' impressione su Di Maio, che circola ormai da giorni tra i big del partito, è durissima: «Chi sta trattando con il Pd è lo stesso che vuole sabotare la trattativa». Nella giostra dei sospetti che si è messa in moto intorno al capo politico finisce anche la difesa di qualche giorno fa di Alessandro Di Battista e del post in cui Dibba dice di apprezzare l' apertura della Lega.
«Un' uscita concordata», avevano fatto filtrare ambienti vicini al leader, proteggendo così uno tra i primi e più forti tifosi del ritorno alle urne. Ma la trattativa per il governo e i tavoli sono ancora tutti aperti. Tanto che lo stesso Di Battista è finito nella girandola di nomi per un ruolo da futuro ministro che ne disinneschi le invettive anti-Pd. L' ex deputato in attesa di un ruolo aveva già espresso il suo favore per il ministero degli Affari europei dopo l' addio di Savona, ma quel posto toccava alla Lega.
I rapporti con Di Maio, poi, si erano deteriorati e c' è chi mette in dubbio che il leader, alla fine, non faccia pagare al «fratello» lo scotto per aver tenuto una linea politica divergente dalla sua. Di certo, c' è che i Cinque stelle vorrebbero tenere Tria all' Economia, e - nonostante le pressioni del Pd - Bonafede alla Gustizia. Si potrebbe spostare invece Vincenzo Spadafora, dalle Pari Opportunità alla Famiglia, e Riccardo Fraccaro dai Rapporti con il Parlamento alla Pubblica amministrazione.
Ma prima di tutto andrà trovato un ruolo per Di Maio. Voleva andare all' Interno, ma gli è stato sconsigliato di fare a cazzotti con Salvini tutti i giorni; per questo potrebbe puntare alla Difesa restare al ministero del Lavoro, lasciando lo Sviluppo economico al Pd. Sempre che, ovviamente, gli uomini di Casaleggio non ribaltino prima la scacchiera.
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