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Ilaria Maria per "la Stampa"
Non sono più i tempi in cui le autorità cinesi decidevano di riempire a forza i treni di contadini dall'entroterra cinese per spedirli nelle zone popolate da chi cinese non si sentiva di essere, quali le regioni del Tibet, della Mongolia Interna o del Xinjiang. Oggi, per invogliare i cinesi a inerpicarsi sull'altopiano tibetano o nelle aride terre uigure, si preferiscono gli incentivi economici, che già hanno dato prova della loro efficacia.
Per il Tibet, ad esempio, è pronto uno sgravio fiscale per chi vorrà installarsi, assecondando la politica di Pechino che vuole diluire la popolazione tibetana. Dopo le statistiche pubblicate negli ultimi giorni sulla stampa cinese, che mostrano come il numero delle piccole aziende in Tibet è in netto aumento, e che queste sono per la maggior parte aperte da cinesi recentemente arrivati sull'altipiano, ieri il «Financial Times» riportava la notizia che il Tibet, da paradiso del buddhismo lamaista, sta divenendo un paradiso fiscale.
Il governo della prefettura di Shannan, una località nel Tibet occidentale chiamata Lokha in tibetano e abitata da 300 mila persone quasi tutte tibetane, ha cominciato ad attirare nuovi arrivi dall'entroterra cinese grazie a uno sconto fiscale per le imprese di tutto rispetto: qui chi investirà dovrà pagare solo il 15% di tasse, contro il 25% di media nel resto del Paese. E, sempre secondo il quotidiano britannico, le aziende che pagano più di 800 mila dollari americani potranno ottenere un rimborso del 40% del loro imponibile. Non stupisce dunque che dallo scorso anno Shannan riporti più di un raddoppio nelle ricette fiscali.
Si tratta dell'ultima di una serie di proposte molto interessanti e vantaggiose per gli investitori, parte di quella campagna per far andare gli investimenti «a Ovest», che da quindici anni cerca di omogeneizzare la popolazione nelle aree meno cinesi, già teatro di violenti scontri e di auto immolazioni - più di cento -, fra giovani tibetani.
Il mese scorso, un rapporto di Human Rights Watch sulla relocalizzazione e sedentarizzazione forzata dei nomadi tibetani aveva già messo l'accento sul tema scottante della rapidità con cui il Tibet sta perdendo la sua cultura distintiva. E non per un naturale evolversi dei costumi, ma dietro la volontà livellatrice di un apparato burocratico che non accetta di rivedere le politiche repressive.
Il rischio, ora che sono stati accordati importanti sconti fiscali agli imprenditori che vorranno installarsi in Tibet, è che ciò acuisca ulteriormente il divario, anche economico, fra cinesi e tibetani, inasprendo ancor più le già gravi tensioni sociali.
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