renzi orlando

LA CONGIURA DI ORLANDO SVEGLIA I NON-RENZIANI: PROVIAMO A FARE UN GOVERNO COI 5 STELLE, MA CON UN PREMIER DIVERSO DA DI MAIO: ECCO I NOMI DI TRE GIUDICI DELLA CONSULTA - MA IL GRUPPO PD AL SENATO È LA SALÒ DEL DUCETTO: ZEPPO DI FEDELISSIMI SENZA FUTURO, GUIDATO DA MARCUCCI: ''NON FAREMO MAI UN GOVERNO CON I 5 STELLE. TOCCA A LORO'' - RENZI È CONVINTO CHE L'UNIONE COL M5S PORTEREBBE ALLA RAPIDA ESTINZIONE DEL PD: IN CASO, LUI È PRONTO ALLA SCISSIONE E A FARSI IL SUO PARTITO DA MACRON DEI PORACCI

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1. MEZZO PD FA CRI CRI E SI OFFRE A GRILLO

Elisa Calessi per ''Libero Quotidiano''

 

A guardare da fuori sembra che nel Pd tutto sia immobile, che l' orologio si sia fermato la notte del 4 marzo: un partito tramortito, obbligato a fare da spettatore. In realtà basta avvicinarsi e abbassare i microfoni per accorgersi che è tutto un ribollire di colloqui, incontri, alleanze in fieri, discussioni sul da farsi, iniziative.

orlando renzi franceschini

 

L' assemblea dell' altro giorno alla Camera dei deputati, durante la quale Dario Franceschini ha chiesto che i gruppi parlamentari si riuniscano e discutano la linea prima di andare alle consultazioni al Quirinale, è stata come il bambino della favola che dice «Il Re è nudo». Tutti sapevano che, nel Pd, c' era un largo fronte per nulla convinto della linea di Matteo Renzi, opposizione dura e pura, nessun dialogo con nessuno. Ora quel fronte, che si allarga ogni giorno, ha fatto un passo per uscire allo scoperto. Ieri Andrea Orlando, in un' intervista al Corriere della Sera, si è messo dalla parte dell' ex ministro dei Beni culturali, spiegando che «il tocca a loro non è una linea» e che il Pd rischia di «smarrire la sua funzione».

 

Non parla, ma è molto vicino a questa posizione anche Paolo Gentiloni.

ORLANDO E FRANCESCHINI

Il premier uscente non ha condiviso gli atteggiamenti degli ultimi tempi di Renzi. È convinto che il Pd debba avere una linea, fare proposte, giocare la partita. Il dialogo, per una forza in Parlamento, è un obbligo. In sintonia con Gentiloni, in questo momento, sono Graziano Delrio, che ora è capogruppo alla Camera, e tutti gli ex ministri, fatta eccezione per Maria Elena Boschi e Luca Lotti.

 

Poi ci sono molte differenze. C' è chi, come Orlando e Michele Emiliano, guarda ai Cinquestelle e pensa che, fallito il tenativo Salvini-Di Maio, ci si debba rivolgere a loro. Ma c' è anche chi, Franceschini tra questi, preferisce guardare al centrodestra.

Poi ci sono le voci da fuori, non meno importanti. Walter Veltroni si è fatto sentire, dicendo a chiare lettere che il Pd dovrebbe dialogare con il M5S. E a breve potrebbe farlo Romano Prodi.

 

Quello che li accomuna è l' idea che il Pd debba immaginare una iniziativa, essere in partita. Prepararsi nell' eventualità che il governo sovranista non decolli. O anche lavorare perché non vada a buon fine.

FRANCESCHINI DELRIO

 

LA GUIDA DEL PARTITO

Questa discussione si intreccia, poi, a quella sul partito e su chi lo guiderà.

Anche qui lo scacchiere del Pd si sta muovendo. Sabato Matteo Richetti farà un' iniziativa all' Acquario romano, prendendo a spunto il libro che ha scritto. È un tentativo di ripartire e di proporsi come punto di riferimento dei renziani, orfani di Renzi. Ma non è l' unico.

 

Sempre sabato, in via dei Cerchi, alcuni ragazzi vicini ad Andrea Orlando, tra cui Peppe Provenzano, membro della direzione Pd e vicedirettore della Svimez, hanno lanciato un appuntamento dal titolo "Sinistra Anno Zero". Un punto per ripartire, da sinistra.

 

Intanto, pur negandola o ridimensionandola, tiene banco la discussione sulla linea da tenere davanti al presidente della Repubblica. «Non si è aperta nessuna discussione. Si è aperta una discussione su come bisogna svolgere questo ruolo. È legittima e la faremo dopo le consultazioni», ha detto Delrio. Il rinvio è un «errore», secondo Orlando, che al Corriere della Sera, ha detto di ritenere «doveroso il dialogo con una forza (il M5S, n.d.r.) che ha raccolto un terzo dei voti». La richiesta del ministro della Giustizia uscente è che il Pd «indichi le sue priorità, proponga una sua agenda sociale al Paese, altrimenti la nostra posizione sarà subalterna e chiusa nel Palazzo».

ANDREA ORLANDO MATTEO RENZI

 

Sulla stessa linea è la vicepresidente del Senato, Anna Rossamando, orlandiana: «Stare all' opposizione non può essere uno slogan rifugio». I renziani guardano con preoccupazione a queste uscite e vedono nelle parole di Orlando e di Franceschini l' idea di un accordo con Luigi Di Maio.

 

IL TWEET DI CALENDA

«Se c' è qualche dirigente che vuole il contrario esca allo scoperto», ha detto il senatore Ernesto Magorno. E Andrea Marcucci, capogruppo dem a Palazzo Madama, ha ribadito la linea: «Il Pd non sosterrà mai nessun governo del M5s, nessun governo Lega-Cinque Stelle. La linea che porteremo la prossima settimana al Colle è quella votata praticamente all' unanimità in direzione: il Pd in questa legislatura starà all' opposizione. Se qualche dirigente vuol cambiare posizione, lo dica chiaramente».

 

ANDREA MARCUCCI

Chi non ha mai fatto nascosto la necessità di discutere con i Cinque Stelle è Michele Emiliano. «I Cinque Stelle non sono nemici da abbattere ma solo avversari da rispettare, provando nel tempo a superarli con proposte alternative. Non capisco perché di fronte a proposte condivisibili, pur essendo opposizione, non si debba dare un appoggio esterno», ha spiegato Francesco Boccia, che ha battibeccato via Twitter con Carlo Calenda. «Accettare risultato elettorale è un dovere, essere complici di irresponsabilità sarebbe delitto. Con buona pace di Michele Emiliano e Francesco Boccia», ha attaccato il ministro su Twitter.

 

 

2. "VIA DI MAIO E PROGRAMMA COMUNE" IL GOVERNO DELLA CONSULTA TRA M5S E PD

Francesco Bei per ''La Stampa''

 

BOCCIA EMILIANO

Pazienti, in attesa, i giocatori della partita sanno che si dovrà consumare senza esiti il primo giro di consultazioni al Quirinale prima che si faccia sul serio. Davanti a una selva di microfoni, appena usciti dallo studio alla vetrata, la prossima settimana i vari leader mostreranno i muscoli, parleranno agli italiani ancora il linguaggio della campagna elettorale. Eppure, sotto la superficie, molti sono già al lavoro per «aiutare» Mattarella a trovare una quadra superando i due maggiori ostacoli che oggi si frappongono al governo M5S-Pd-LeU: Matteo Renzi e Luigi Di Maio.

giovanni maria flick e moglie

 

Il primo luogo dove si combatte la battaglia è dentro e attorno al Partito democratico.

Le uscite di Andrea Orlando e Dario Franceschini, terminali di un disegno più alto, rispondono infatti a un unico scopo.

 

Preparare il terreno per un cambio di gioco, oltre il recinto aventiniano dove Renzi spera di rinchiudere i dem. Ma ancora è presto, prima devono consumarsi tutti i passaggi politici e costituzionali delle consultazioni. «Noi - spiega uno dei registi dell' operazione - non possiamo appoggiare un governo Di Maio. Nessuno nel Pd può spingersi a tanto. Lo stiamo facendo capire ai Cinquestelle.

 

Ma è giusto che ci arrivino piano piano». I contatti con Franceschini e Orlando, tramite i grillini Emilio Carelli e Danilo Toninelli, sono frequenti e il ragionamento che viene esposto dai dem è sempre lo stesso: individuiamo insieme un programma limitato, offriteci un presidente del Consiglio votabile, un profilo «alla Rodotà», e una discussione si può aprire.

 

Nonostante Renzi. «Anche il programma va impostato su punti chiari, che "parlino" ad entrambi gli elettorati ed escludano di fatto il centrodestra: legalità, lotta alla corruzione, difesa del lavoro, contrasto alla povertà. Oltre ovviamente alla legge elettorale».

PAOLO GROSSI

In questo ragionamento si riconoscono non soltanto i due ex-ministri. Ma anche alcune grandi figure di riferimento che, con discrezione e senza apparire, stanno spingendo pezzi di Pd in quella direzione.

 

Nelle conversazioni ricorrono sempre i nomi di Romano Prodi e Giuliano Amato. Anche il percorso politico è in qualche modo già abbozzato. Perché a metà aprile, esaurito appunto senza esito il primo giro di consultazioni, nel Pd si aprirebbe una discussione vera. Pesante.

 

Con una dichiarazione di smarcamento dallo schema renziano per bocca dello stesso Paolo Gentiloni. Un vero e proprio appello che dovrebbe suonare come un tana libera tutti. Nella speranza che anche l' ex segretario alla fine si pieghi o venga messo in minoranza.

I nomi che circolano per guidare questo governo sono tre e tutti di giuristi di altissimo profilo: Giovanni Maria Flick, Paolo Grossi e Giorgio Lattanzi. I primi due ex presidenti della Corte costituzionale, l' ultimo - Lattanzi - presidente in carica.

 

È quel «governo della Consulta» che si era affacciato proprio all' indomani del voto, poi inabissatosi nel calore dello scontro politico. A questo schema si tornerebbe - nella speranza di quella parte del Pd fuori dall' ortodossia renziana - anche per scongiurare il progetto alternativo che viene attribuito all' ex segretario dem. Ovvero quello di accodarsi a un governo di centrodestra, purché non guidato da Salvini ma da un leghista meno contundente come Giancarlo Giorgetti.

GIORGIO LATTANZI

 

Renzi sa bene cosa si sta muovendo alle sue spalle. E non è un caso, viene spiegato, se Andrea Marcucci, il fedelissimo capogruppo al Senato, ieri abbia sparato proprio in quella direzione: «Il Pd non sosterrà mai nessun governo del M5S. Se qualche dirigente vuol cambiare posizione, lo dica chiaramente».

I due leader che in campagna elettorale più si sono combattuti - Renzi e Di Maio - in questa fase sono tatticamente alleati per evitare ogni soluzione che passi sopra le loro teste.

 

Come quella rivelata ieri da La Stampa e attribuita a Max Bugani, un Cinquestelle della prima ora: passo indietro di Di Maio e dialogo con il Pd. Ieri mattina, in un Transatlantico deserto, nonostante gli strali del quartier generale grillino che smentiva le parole di Bugani, un rilassato Alessandro Di Battista ad alcuni deputati di sinistra confidava: «Quella di Bugani? Una sua opinione personale». Per ora.

 

 

3. QUEL DILEMMA CHE MINACCIA IL FUTURO DEL PD

Estratto dall'articolo di Stefano Folli per ''La Repubblica''

 

BERLUSCONI SALVINI

(...) Forza Italia sa che l' obiettivo di Salvini è ridurla al rango di partito satellite, senza escludere un' annessione parziale della corrente più nordista.

 

(...)

Berlusconi e il Pd hanno scelto strade diverse per fronteggiare il declino.

Il primo si tiene attaccato al carro di Salvini così da condizionare il dialogo con il M5S, nella speranza non troppo segreta di un fallimento che apra la strada a un esecutivo di transizione capace di evitare un immediato ritorno alle urne. Il Pd invece rischia di dividersi a metà tra i renziani fedeli alla linea dell' opposizione intransigente e i possibilisti (da Franceschini a Orlando) desiderosi di esplorare altre vie nel confronto con Di Maio. È singolare che nel giro di poche ore due esponenti legati all' ex segretario, come Richetti e Nardella, abbiano alluso a una "estinzione" del Pd. Estinzione è un termine drammatico e definitivo che segnala un salto di qualità del dibattito.

 

salvini di maio prima di essere attaccati

È come se Renzi, che parla attraverso i due collaboratori e di fatto continua a essere una sorta di leader ombra (vedi l' analisi di Ignazi ieri su questo giornale), avesse messo le carte in tavola. Se il Pd scivola verso una qualche forma di intesa con i Cinque Stelle, variamente modulata, ciò equivarrà a un' estinzione. Quel che resta del partito subirà l' egemonia del M5S e dovrà rassegnarsi a un ruolo subordinato.

 

 È fin troppo facile prevedere che in questo caso avremo una scissione da destra: Renzi e i suoi, compresa una parte forse consistente dei gruppi parlamentari, rifiuterebbero di "estinguersi" nell' abbraccio con Di Maio e cercherebbero altre strade. Il che comporterebbe, fra l' altro, che il connubio fra M5S e Pd anti-renziano (più il gruppetto di Liberi e Uguali) non avrebbe voti sufficienti in Parlamento, specie al Senato. (...)