DAVVERO “I AM GIORGIA” SI È SOBBARCATA 20 ORE DI VIAGGIO PER UNA CENA A MAR-A-LAGO, QUALCHE SMORFIA…
Marco Conti per “il Messaggero”
Metti una sera a cena Giuseppe Conte e Jean Claude Juncker. Il primo pronto a sostenere che «il dialogo con la Commissione continua». Il secondo disposto ad annuire, anche perché la pratica sulla manovra di bilancio italiana è da ieri uscita dai radar della Commissione ed è già sul tavolo dell' eurogruppo.
I TEMPI
Il problema è che all'esecutivo Ecofin, che si terrà tra due settimane, rischia di buttare molto peggio per l'Italia. E' per questo che Conte sabato a Bruxelles proverà a giocarsi tutte le cartucce tirando fuori dossier di riforme, dismissioni di immobili e pacchetti di investimenti che dovrebbero annacquare una manovra che a Bruxelles viene giudicata «troppo assistenzialista», «molto ottimista» dal lato della crescita (+1,5%) e «completamente sballata» per i 22 miliardi in più di debito (+0,8%). Conte però vuole provarci e tra gli argomenti di Conte proverà ad usare anche quello dello slittamento in avanti delle due riforme «spendaccione».
L'entrata in vigore ad aprile del reddito di cittadinanza comporterebbe un notevole risparmio per il 2019. Così come una minor spesa ci sarebbe inzeppando la revisione della legge Fornero di penalità. Una strada già tentata dal ministro Tria in grado di far scendere il rapporto deficit-pil dal 2,4 scritto nella manovra al 2,1-2,2% riducendo anche l' indebitamento. Il problema è che a Bruxelles non capiscono perché tenere quei numeri, il 2,4% e lo 0,8% di debito, se si pensa di non spendere tutti i miliardi previsti.
Contro il muro dei governi dell' eurogruppo il governo rischia quindi di andare a sbattere il 22 gennaio quando l' Ecofin dovrà decidere i tempi della procedura per debito. Se Conte arriverà a Bruxelles senza modifiche ai saldi di bilancio è molto difficile che Juncker possa andare oltre generiche rassicurazione di cortesia. D' altra parte il presidente della Commissione, malgrado sia stato più volte insolentito, non è la prima volta che accetta da un presidente del Consiglio italiano la richiesta di un «urgente incontro».
Accadde anni fa quando il Berlusconi-premier si recò un sabato mattina con urgenza in Lussemburgo per incontrare l' allora collega Juncker in modo da opporre ai giudici un legittimo impedimento. Acqua passata e Conte non ha la pelata di Berlusconi sulla quale lo stesso Juncker a suo tempo esercitò la sua ironia con ripetuti pat-pat di consolazione. La bocciatura della Commissione alla manovra era attesa come l' impennata dello spread che invece non c'è stata e ha fatto tirare un unico sospiro di sollievo a Palazzo Chigi come al Quirinale.
«Dialogo», è la parola che Giuseppe Conte ha usato ieri ed è la stessa che da tempo segna tutti gli interventi del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Al Quirinale apprezzano la continua interlocuzione di palazzo Chigi con Bruxelles ed è diffusa la convinzione che basti qualche zero virgola in meno da parte del governo per poter dire di aver ottenuto il massimo ed evitare che buona parte delle risorse finiscano col finanziare lo spread.
Ma Conte sinora non è riuscito a spuntare molto dai suoi due vice e da ieri è sceso in campo il ministro delle Politiche comunitarie Paolo Savona che da qualche giorno sembra essere il più convinto sostenitore della necessità di modificare la manovra. Ieri Savona ha avuto una riunione con i responsabili economici dei due partiti, ma sinora alla cauta apertura leghista non corrisponde altrettanta disponibilità grillina.
Il M5S sconta la debolezza del suo leader. Luigi Di Maio ormai riesce a fatica a controllare la contestazione interna. Tornare indietro sul reddito di cittadinanza accettando solo di aumentare la dote del reddito di inclusione, significa per Di Maio compromettere la sua leadership e la tenuta stessa del Movimento.
Mentre anche la manovra continua ad essere ostaggio delle tensioni tra i due vicepremier, Conte cerca di comprare tempo nella speranza che i mercati tengano lo spread su quota trecento e permettano al governo di arrivare almeno sino a maggio. Ammesso che la Lega regga la rivolta del Nord che ieri Umberto Bossi mostra di fiutare quando dice di «non vedere quale sia il traguardo» della Lega.
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