DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1 – QUALCHE TESTA ROTOLERÀ... - LE TELECAMERE DI UNA TV VIETNAMITA HANNO RIPRESO IL TERRORIZZATO ASSISTENTE DI KIM JONG UN CHE, DOPO ESSERE RIMASTO BLOCCATO SUL TRENO, CORRE TRAFELATO PER RAGGIUNGERE IL DITTATORE - DOPO TRE GIORNI IN VIAGGIO A BORDO DEL SUO TRENO BLINDATO, IL LEADER NORDCOREANO È ARRIVATO IN VIETNAM PER IL VERTICE CON TRUMP CHE SI TERRÀ AD HANOI… (VIDEO)
2 – COREE, SEUL SPINGE PER IL TRATTATO DI PACE: TRUMP CHIEDERÀ A KIM MISURE CONCRETE
Paolo Mastrolilli per www.lastampa.it
Trump è partito ieri per Hanoi, dicendo che si aspetta «un vertice formidabile» con il leader nordcoreano Kim. Seul ha lasciato intendere che spera nella firma della dichiarazione per mettere ufficialmente fine alla guerra degli Anni Cinquanta, ma il segretario di Stato Pompeo ha scelto una linea più prudente. Il vertice ora ruota tutto intorno a questo interrogativo, fra l’auspicio che porti a una svolta concreta nelle relazioni con Pyongyang, e la preoccupazione che il capo della Casa Bianca faccia concessioni eccessive, allo scopo di poter rivendicare il successo della sua strategia e magari poi ambire al Nobel.
Trump ha indicato via Twitter quali sono i suoi obiettivi: «Con la completa denuclearizzazione, la Corea del Nord diventerà rapidamente una potenza economica. Senza, continuerà la stessa storia che conosciamo. Il presidente Kim prenderà una decisione saggia!». Moon Jae in, il presidente sudcoreano, ha fatto capire che la sua speranza è concentrata sulla finalizzazione di un trattato che metta formalmente fine alla guerra degli Anni Cinquanta, ma i professionisti della diplomazia americana che stanno gestendo la trattativa, a cominciare dal segretario di Stato Pompeo, cercano invece di abbassare le aspettative: primo, per evitare la delusione di un eventuale mancato accordo; secondo, per non spingersi troppo in avanti con le concessioni, senza prima aver ottenuto la garanzia della serietà di Pyongyang nel perseguire l’obiettivo della denuclearizzazione completa.
In vista del vertice di domani e giovedì, un alto funzionario della Casa Bianca impegnato direttamente nel negoziato ha spiegato così il clima dell’appuntamento: «Non sappiamo ancora se la Corea del Nord ha fatto davvero la scelta di denuclearizzare, ma la ragione per cui ci siamo impegnati in questo summit e perché crediamo che ci sia una possibilità». Il suo collega del dipartimento di Stato che gestisce le trattative ha aggiunto che il principale obiettivo del summit sarà proprio «chiarire nel dettaglio cosa intendono le parti con il termine denuclearizzazione».
I due rappresentanti dell’amministrazione Trump hanno ricordato che il summit di Singapore nel giugno 2018 aveva definito i quattro punti fondamentali della trattativa, ma hanno ammesso che dopo quell’incontro non sono avvenuti progressi reali. I funzionari hanno chiarito che Pyongyang non ha compiuto alcun passo concreto per eliminare le sue armi atomiche, ma ha sospeso i test. Gli Usa non hanno la certezza della buona fede dei nordcoreani riguardo la promessa di denuclearizzare, però ritengono che la possibilità di arrivare a questo traguardo sia sufficiente a giustificare il vertice di Hanoi. L’obiettivo esplicito degli americani è ottenere una «dichiarazione congiunta, che chiarisca cosa intendiamo con il termine denuclearizzazione».
DONALD TRUMP KIM JONG UN STRETTA MANO
Ciò servirebbe ad impegnare Kim sulla eliminazione concreta e verificabile del suo arsenale, anche se le modalità specifiche verrebbero poi discusse in successive trattative di natura più tecnica. Oltre alla possibilità di annunciare ad Hanoi un trattato di pace, sono girate voci anche sulla riapertura dei canali diplomatici diretti, e l’alleggerimento delle sanzioni. I due funzionari però hanno chiarito che nessuna di queste misure è stata già concordata, e hanno smentito di aver mai discusso il ritiro le truppe americane dalla Corea del Sud in cambio di un accordo.
3 – NUOVO VERTICE TRUMP-KIM IN VIETNAM TRA SPERANZE E APPRENSIONI
Stefano Carrer per www.ilsole24ore.com
Otto mesi dopo il primo vertice a Singapore tra il presidente americano Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un, il loro nuovo incontro ad Hanoi il 27 e 28 febbraio suscita grandi aspettative ma anche apprensioni: appare nell'ordine delle possibilità una storica dichiarazione sulla fine della guerra di Corea (conclusasi nel 1953 con un mero armistizio, durato finora), ma i pessimisti dubitano che Pyongyang metta davvero sul tavolo negoziale i fatidici “passi concreti” verso una denuclearizzazione “completa, verificabile e irreversibile”, pur cercando di strappare significative concessioni.
DONALD TRUMP KIM JONG UN STRETTA MANO
Gli obiettivi di massima
Già a Singapore le parti avevano concordato in termini generici sulla ricerca di una denuclearizzazione della penisola coreana (senza precisare il concetto) e sulla volontà di far avanzare le relazioni bilaterali. Il secondo summit dovrebbe dare contenuti più specifici a questi obiettivi. Dal punto di vista tradizionale Usa, la questione più importante riguarda come far procedere una prospettiva di disarmo nucleare e, almeno in parte, missilistico della Corea del Nord. Trump ha dichiarato che lui e Kim si attendono una «continuazione dei progressi» fatti a Singapore, chiudendo un tweet di domenica con la parola “denuclearizzazione?” (con il punto di domanda, ossia senza dare una risposta chiara).
La parte nordcoreana appare interessata a una dichiarazione formale di pace e a porre le basi per un allentamento del regime di sanzioni internazionali che resta in vigore. Prima di partire per il Vietnam, Trump ha dichiarato anche di «non avere fretta» e di «non voler far fretta» a nessuno, aggiungendo che la cosa più importante al momento è che la Corea del Nord non faccia test militari. In effetti Pyongyang ha effettuato l’ultimo test nucleare (il sesto) nel settembre 2017, e l’ultimo test missilistico nel novembre dello stesso anno. Vari osservatori hanno cominciato a notare segnali di un potenziale annacquamento della posizione finora sostenuta da Washington ( ossia fine delle sanzioni solo con il disarmo nucleare del Nord). Trump ha fatto intendere di poter metter mano alle sanzioni se ci saranno «progressi significativi» sulla denuclearizzazione. Inoltre una «dichiarazione di pace» potrebbe aprire la strada a progressi nelle collaborazioni economiche intercoreane, al di là del regime sanzionatorio.
Sviluppi in questo senso sono considerati pericolosi dal Giappone, che odia l’idea di una normalizzazione dei rapporti internazionali con una Corea del Nord ancora nuclearizzata e dotata di missili a corto e medio raggio in grado di colpire il suo territorio (dal punto di vista di Tokyo, una rinuncia del Nord a missili intercontinentali non ha importanza). Inoltre il premier giapponese Shinzo Abe ha telefonato nei giorni scorsi a Trump per cercare di fargli mettere all’ordine del giorno anche la questione dei cittadini giapponesi rapiti dai servizi segreti nordcoreani negli anni '60 e '70.
Il “New York Times” ha rivelato che, in discussioni riservate, il segretario di Stato Mike Pompeo avrebbe ammesso che sarebbe già una fortuna se la Corea del Nord accettasse di smantellare il 60% di quanto richiesto dagli Usa. In dichiarazioni pubbliche, Pompeo ha detto di sperare in sostanziali progressi questa settimana, ma ha richiamato che Pyongyang deve ancora fare passi concreti sulla denuclearizzazione, ventilando infine che sarà necessario un terzo summit oltre a quello di Hanoi. Intanto da Mosca è arrivata una sollecitazione verso una ripresa del tavolo negoziale a sei parti (Usa, Cina, Russia, Giappone e le due Coree): «La situazione in Asia nordorientale - ha detto il ministro degli esteri Sergey Lavrov - non è semplice, prima di tutto a causa della questione nucleare coreana, (...) ma l’obiettivo è quello di stabilire un meccanismo di pace e sicurezza nella regione. Si tratta di uno degli obiettivi concordati durante le trattative a sei sulla questione nucleare nella penisola coreana quando i negoziati erano ancora in corso. Adesso sono bloccati ma il loro potenziale dovrebbe essere tenuto in considerazione».
TRUMP KIM JONG UN IL COPRIPIUMINO
Le difficoltà di un trattato di pace
In teoria, formalizzare la fine della guerra sarebbe un semplice riconoscimento di una situazione di fatto che dura da oltre 65 anni. Ma la questione è molto più complessa di quel che sembra. Anzitutto, se pure i due leader dovessero arrivare a una «dichiarazione di pace», un vero trattato che sancisca la fine della guerra deve coinvolgere la Cina (in quanto l'armistizio coinvolse direttamente il “Corpo dei volontari cinesi” inviato da Mao a combattere).
Inoltre avrebbe voce in capitolo il Congresso Usa. A Seul i conservatori temono questo sviluppo in quanto ritengono che l'obiettivo vero del Nord nel sollecitare un trattato di pace è quello di far disimpegnare le forze americane (circa 28.500 soldati) dalla penisola.
Peraltro Trump ha detto che la presenza militare americana non è oggetto di trattative (dopo Singapore aveva però sospeso a sorpresa esercitazioni congiunte con le forze armate sudcoreane, venendo incontro a una richiesta del Nord). Ad ogni modo, proprio l'ufficio di presidenza sudcoreano ha fatto crescere le aspettative di un accordo che proclami la fine della guerra di Corea.
Si tratterebbe allora di una sorta di “ponte” tra l’armistizio e un trattato vero e proprio, di cui avrebbe un valore legale e politico inferiore. «Se Trump riuscirà a metter fine all'ultimo pezzo del sistema della Guerra Fredda, lascerà un grande risultato che entrerà nella storia», ha dichiarato lunedì il presidente sudcoreano Moon Jae-in.
I diversi simbolismi di Hanoi
La località in cui si svolge il summit evoca simbolismi differenti. Da un lato, il Vietnam di oggi è un Paese emergente in rapido sviluppo economico: una testimonianza di come la Corea del Nord potrebbe diventare come membro integrato della comunità internazionale. Dall’altro, il Vietnam è il Paese che sconfisse gli Usa (anche con un piccolo aiuto da parte della Corea del Nord ) dopo una lunga guerra devastatrice.
Il nonno dell’attuale leader nordcoreano, Kim Il-Sung, si recò in Vietnam nel 1958 e nel 1964, passando per la Cina e utilizzando il treno per buona parte del viaggio. Sarebbe anche per ricalcare le orme del fondatore della dinastia, secondo vari analisti, che Kim Jong-un ha scelto un viaggio in treno (il suo convoglio blindato) di circa 60 ore attraverso la Cina, fino all’estremo confine meridionale, per recarsi al secondo summit con Trump.
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