COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Riccardo Luna per www.repubblica.it
Nel febbraio del 2009 il world wide web compiva 20 anni e in California avevano invitato Tim Berners Lee, il suo inventore, a raccontare che sarebbe successo nei prossimi 20: The Next Web. La conferenza era il famoso TED, l’evento dove alcuni grandi visionari ogni anno provavano a raccontarci che il futuro sarebbe stato meraviglioso (e dove nessuno si filò Bill Gates che nel 2015 disse che una pandemia avrebbe potuto fermare il mondo).
coronavirus i dati della protezione civile
Quel giorno del 2009 Berners Lee superò sé stesso e la sua proverbiale timidezza: parlò dell’importanza dei dati, di disporre di dati aperti, in modo che un ricercatore o un giornalista tramite un computer potessero lavorarci, fare confronti, scoprire correlazioni, individuare tendenze.
GIUSEPPE CONTE SI DISINFETTA LE MANI
Pensate a quello che sta capitando con il coronavirus: viviamo immersi nei dati, bollettini quotidiani che ci dicono come sta il mondo e come stiamo noi, in base a quei dati si decidono o si terminano lockdown, le regioni cambiano colore. Il destino delle persone è appeso a quei dati e ai calcoli che si fanno con essi.
CORONAVIRUS - IL BOLLETTINO DEL 17 NOVEMBRE 2020
Eppure di quei dati non sappiamo nulla: non sappiamo come sono raccolti, se sono affidabili, se sono tempestivi; non possiamo controllarli; i ricercatori non possono lavorarci alla ricerca di fenomeni nascosti, i giornalisti non possono verificare se le decisioni che vengono prese sono corrette; e anche i politici, che di quei dati sono i primi fruitori, ne sanno pochissimo e a volte vanno in tv e dicono con candore “non ho visto i dati”.
Disporre di dati aperti, i cosiddetti open data, non è solo una questione di trasparenza e di controllo; è una questione di innovazione, perché è dai dati che si trovano le soluzioni; ed è una questione di democrazia che vive del fatto che si possano prendere le decisioni migliori nell’interesse di tutti e che ci si possa fidare che lo si sta facendo.
coronavirus i dati della protezione civile 1
Ma i dati non sono di chi governa, i dati sono di tutti, sono un bene comune. Lo ha detto anche il governo a un certo punto: la trasparenza e l’accessibilità dei dati saranno al centro della strategia di gestione del rischio pandemico, è stato detto. Ma sono ormai dieci mesi che siamo immersi nella pandemia e ancora non disponiamo di dati aperti, aggiornati, tempestivi.
Eppure sugli open data questo paese non parte da zero: sono dieci anni che facciamo passetti avanti, e nelle classifiche europee non siamo neanche messi male. Sapremmo come fare. Ma i dati sul covid sembrano un segreto di Stato: qualche giorno fa l’Istituto Superiore di Sanità hanno fatto un accordo per condividere i dati dell’epidemia soltanto con l’Accademia dei Lincei. Perché? Che senso ha?
dati morti in italia per coronavirus
Migliaia di persone, e decine di associazioni prestigiose, stanno firmando un appello al presidente del Consiglio intitolato “Liberiamoli tutti”, i dati. Nel 2009 Tim Berners Lee verso la fine del suo discorso disse che il mondo per crescere aveva bisogno di dati grezzi subito, raw data now. E al pubblico disse: “Ripetete con me: Raw. Data. Now!”.
Ebbe un successo formidabile quel discorso, molti nel mondo capirono. E’ il momento di rifarlo. Liberiamo tutti i dati della pandemia adesso. Il covid non si batte chiudendo i cassetti ma spalancando le porte. La trasparenza, la fiducia, l’innovazione sono i farmaci di cui abbiamo bisogno in attesa del vaccino.
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