CALCE E MARTELLO - IL PROCESSO SUL CRAC DELLA “COOPCOSTRUTTORI”, ENTRA NEL VIVO CON LE MAGAGNE DEL VECCHIO PDS PRONTE A ESSERE SCIORINATE IN AULA - L’EX PRESIDENTE DELLA COOPERATIVA ROSSA E PRINCIPALE IMPUTATO, GIOVANNI DONIGAGLIA, AVRÀ OGGI UN FACCIA A FACCIA CON L’EX UNIPOL GIOVANNI CONSORTE A CUI IMPUTA DI AVER LASCIATO FALLIRE IL GRUPPO, D’ACCORDO CON IL PARTITO DI BAFFINO, PER RAGIONI DI NATURA POLITICA E NON PER QUESTIONI ECONOMICHE…

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1 - GIUSTIZIA E POLITICA
Gian Marco Chiocci Patricia Tagliaferri per "Il Giornale"

Così Botteghe Oscure e Unipol fecero fallire la più grande cooperativa rossa, il quarto gruppo del Paese nel settore costruzioni (2.500 dipendenti). Era il fiore all'occhiello «economico» del Pci-Pds. Almeno fino al 2003, quando la Coopcostruttori di Argenta (Ferrara), venne spazzata via da un crac da oltre un miliardo di euro che «inghiottì» i crediti di oltre 10mila creditori e oltre 80 milioni di risparmi dei soci raggirati. Il processo, alle sue battute decisive in questi giorni a Ferrara, vede sul banco degli imputati il gotha dell'imprenditoria rossa, a cominciare dall'ex presidente Giovanni Donigaglia, già arrestato cinque volte (e sempre assolto) per l'accusa di finanziamento illecito.

Per lui e per gli altri imputati l'accusa è di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta.Per anni, secondo i pm, i dirigenti truccarono bilanci, fatture e libri contabili per coprire lo stato di insolvenza dell'azienda nel tentativo di procurarsi le risorse per mantenerla in vita. Gli imputati, naturalmente, negano che le cose siano andate così.

Per loro i bilanci erano a posto e la Coopcostruttori, pur se in grande difficoltà per i postumi di Tangentopoli, si sarebbe potuta salvare se soltanto la LegaCoop e il Pci-Pds lo avessero voluto. Il partito avrebbe avuto, a detta di Donigaglia, una parte importante nella decisione di non intervenire al termine di una vera e propria «faida politica ».

La difesa dell'imputato principale ritiene, dunque, che il mancato salvataggio dell'impresa sia stato dettato da ragioni di natura politica-economica e dolosamente perpetrato da Giovanni Consorte, allora alla guida di Unipol, il gruppo assicurativo protagonista della mancata scalata alla Bnl. Secondo l'imprenditore ferrarese fu Consorte, che pure nel 1997 aiutò un'altra coop rossa (la Cmc di Ravenna) nonostante stesse peggio economicamente, a negare il salvataggio lasciando che la Costruttori chiedesse l'amministrazione straordinaria che l'ha poi portata alla morte.

«Consorte- ha raccontato Donigaglia - disse che ci avrebbe aiutato a uscire dal pantano. Con la Finec, finanziaria dell'Unipol, avrebbe guidato un intervento di ristrutturazione finanziaria e organizzativa della Coopcostruttori. Inoltre Unipol avrebbe comprato dalla Federcoop l'Assicoop e il ricavato sarebbe andato a noi poiché eravamo parte dell'universo delle coop e l'intervento sarebbe servito per tornare in carreggiata. L'Assicoop fu comprata pare per 9 miliardi di lire, ma nelle nostre casse non arrivò un soldo. Abbiamo sbagliato a fidarci dei compagni».

Agli atti del processo lo studio Finec, che rilevò come nel 1997 la Coop di Donigaglia fosse già sull'orlo del fallimento e come, proprio per questo, non venne aiutata allora e nemmeno nel 2003, anno del crac. D'Alema, prima del fallimento, aveva tranquillizzato i 3mila soci: «Tranquilli voi avete un grande presidente che vi assicurerà il futuro». Di lì a poco fu crac, come hanno ricordato gli ex dipendenti e gli stessi soci: «Ci avevano detto che era più sicura di una banca, che non sarebbe mai potuta fallire, che dietro c'era il partito». In un'intervista Donigaglia l'ha buttata lì:«D'Alema venne ad Argenta per assicurarmi che non saremmo stati abbandonati (...). Io ho sempre aiutato economicamente il partito ma nel momento del bisogno il partito non ha aiutato me».

2 - I VERBALI CONSORTE E DONIGAGLIA
«L'IMPEGNO POLITICO ERA PRECISO: SALVARE LE COOP DI TANGENTOPOLI»
GMC-PaTa per "Il Giornale"

Di qua Giovanni Donigaglia, l'uomo che s'è sempre immolato per il partito di Botteghe Oscure ai tempi di Tangentopoli e che oggi è alla sbarra per il fallimento della Coopcostruttori di Argenta di cui è stato presidente fino al naufragio. Di là Giovanni Consorte, ex presidente di Unipol, «colpevole» di aver lasciato affondare la più grande coop rossa e di aver mandato sul lastrico migliaia di dipendenti e risparmiatori. Nell'aula del tribunale di Ferrara, il 28 ottobre, i due nemici faccia a faccia.

Consorte respinge le accuse e rivela il tiepido tentativo del partito, almeno all'inizio, di dare ossigeno all'azienda in agonia: «Una volta,a un convegno,l'onorevole D'Alema mi chiese come era messa la Coopcostruttori di Argenta e io gli risposi di non saperlo e che avevamo fatto un intervento tempo ad­dietro ma che non l'avevamo più seguita. Non c'è stata nessuna pressione.Direi che ho avuto molte più sollecitazioni, successivamente, quando la cooperativa entrò nella Prodi bis per il discorso dei soci. E ne ho avute anche da Fassino ricordo, da Montanari e anche dalla Lega, Un po' da tutti».

Nei fatti, però, la coop di Argenta viene abbandonata a se stessa a vantaggio della coop gemella Cmc di Ravenna, messa altrettanto male, che Consorte riesce a salvare. L'ex nu­mero uno di Unipol nega favoritismi. Spiega perché la finanziaria Finec non intervenne né prima né a ridosso del crac: «Per le nostre valutazioni, la situazione era drammatica dal punto di vista finanziario e patrimoniale. Ci venne chiesto di esaminare la situazione economica dalla lega delle coop(...).

C'era un indebitamento di oltre 240 milioni (...) quattro volte il patrimonio netto rettificato». Si pensò a come intervenire, si studiò il da farsi, «ma era la storia di una morte annunciata » e per questo si evitò «un intervento al buio» anche quando la Lega Coop pensò di intraprendere la strada del finanziamento da 30 milioni, il cosiddetto «piano Cofiri» avallato dalle assicurazioni.

Consorte vedeva nero già nel '97 («dicemmo che entro due o tre anni la cooperativa si sarebbe avvitata su se stessa per i debiti») al contrario di Donigaglia «che sosteneva come la situazione della coop fosse assolutamente gestibile».In aula Donigaglia non cede rispetto a quanto raccontato nella precedente udienza («è Consorte l'uomo che mi ha ammazzato più di tutti, che ha ammazzato tutti noi, è lui la bestia nera»). Parte da lontano, il presidente- imputato. Da quando in piena Tangentopoli viene avvertito al telefono che l'indagato Pizzarotti aveva visto sul tavolo di Di Pietro il suo mandato d'arresto.

«Vuole sapere (Di Pietro, ndr ) se dai tangenti al Pci», mi dissero dal partito. Donigaglia scomoda l'ex segretario amministrativo Marcello Stefanini, che si preoccupava di ricordargli di dire la «verità», e cioè che i soldi al partito erano un finanziamento lecito. Per Donigaglia c'era «un impegno politico» a tutto tondo del Pds. Il presidente del collegio Francesco Caruso si incuriosisce: «Ci vuole dire che lei ha la copertura del partito per le vicende della società per questa posizione che assume in Tangentopoli? ». Donigaglia risponde a tono: «Il partito ha detto "devi dire la verità e difendere". E io: "Ma andiamo in crisi, guardate io vado via, mi dimetto"».

Il partito dice di no:«Devi restare lì perché se vai via diamo ragione a chi ti perseguita e ti dimostri colpevole. Altro che tu non hai fatto niente». Questo era l'impegno, ribadisce Donigaglia: «C'era la decisione politica della lega di aiutare le 6-7 coop coinvolte in Tangentopoli». Attraverso Panorama, tempo fa, il padrone di Argenta mandò un messaggio ai vecchi compagni del Pds: «Sapesse quanti compagni sono venuti a trovarmi in cella per accertarsi che non mi lasciassi sfuggire mezza parola...».L'impegno del Pci-Pds al salvataggio non verrà rispettato. Anche se, all'inizio, nonostante i debiti, i segnali di un aiuto per scongiurare il crac sembravano incoraggianti. Ma durarono poco.

Donigaglia si incontrò (e si scontrò subito) con Consorte, dopodiché chiese aiuto alla lega della coop, quindi andò a Roma, alla presidenza del Consiglio (premier D'Alema) dove gli garantirono un intervento a favore della coop. Si pensava a un piano di ristrutturazione ma, gira e rigira, dice Donigaglia in aula, alla sua coop non ci penserà più nessuno. Discorso diverso per la Cmc di Ravenna che venne aiutata «nonostante avesse un indice di alta probabilità di fallimento (...). Noi fino al 2001 avevamo un bilancio con gli indici strutturali migliori. Quindi non è vero che noi avessimo un indebitamente superiore (...). Il loro era di 497 miliardi, il nostro di 425. L'azienda poteva essere salvata...».

 

unipol giovanni consorte 001 lapunipolCONSORTEGIOVANNI DONIGAGLIACmc di Ravenna